Emma Bonino, Affari Internazionali, 12 luglio 2020
Voglio dedicare questo spazio ai ragazzi, che probabilmente non ricordano o non sanno del massacro di Srebrenica del luglio 1995.
Quando ero Commissario europeo per gli aiuti umanitari ho visto davvero tanti campi profughi, ma una in particolare mi è rimasto impresso: quello di Tuzla, per la fila di tende improvvisate accanto l’airstrip dove era atterrato il piccolo aeroplano usato per arrivare lì. E mi ha impressionato, come un pugno allo stomaco, perché era immerso in un silenzio assoluto.
Atterrando, mi sono guardata intorno e ho visto solo donne, anziani e bambini fuggiti da Srebrenica, attaccata e conquistata dai serbi. Ho quindi chiesto dove fossero i loro uomini e mi fu risposto che erano stati separati quando era stata attaccata la cosiddetta zona sicura sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Mi sono resa conto che mancavano circa 8 mila persone, tutti uomini tra i 16 e i 45 anni. Rientrata a Bruxelles denuncio questa cosa alle capitali europee e nessuno voleva credere a questa cosa. Mi si diceva saranno fuggiti nei boschi. Era luglio. E aspettammo fino ad agosto, quando Madeleine Albright rese pubbliche le foto aeree delle fosse comuni, per scoprire che invece erano stati trucidati, in 8.000!
Il massacro di Srebrenica mi ha insegnato una cosa, che lascio per il futuro: le cosiddette zone sicure non sono mai davvero sicure, perché le regole di ingaggio del personale internazionale non prevedono la possibilità di difesa armata.
È successo lo stesso nei campi di Goma, tutti sotto bandiera Nazioni Unite, quando Kagame decise che ospitavano hutu “génocidaires” e quindi li attaccò e li distrusse e un milione di persone si trovò a scappare in Congo.
Ed è questo che penso tutte le volte, quando sento, anche di questi tempi, di istituire delle zone sicure e mi viene la pelle d’oca: istituire zone sicure dovrebbe significare in primis individuare chi e come si garantisce la sicurezza.
E vorrei ringraziare No Peace Without Justice (Non c’è pace senza giustizia) per l’instancabile lavoro portato avanti per Srebrenica.