Gianluca Eramo*, New York,
Quasi un anno dopo la sua esplosione in Tunisia, la Primavera Araba ha cominciato a raccogliere i suoi tanto desiderati frutti. Gli egiziani si sono recati alle urne per votare per un nuovo parlamento; la settimana precedente il Marocco è stato chiamato alle urne per la prima volta sotto una nuova costituzione e, nel mese di ottobre, la Tunisia ha avuto l’opportunità di eleggere, per la prima volta, un’Assemblea Costituente attraverso elezioni che sono state riconosciute a livello internazionale come libere ed imparziali.
La maggior parte degli elettori hanno potuto esercitare per la prima volta il loro diritto di voto in libere elezioni. Per alcuni, era la prima volta che votavano in assoluto, avendo rifiutato di partecipare alle precedenti elezioni, né libere né democratiche. Per molti, il solo fatto che avessero potuto votare significava aver vinto.
Sebbene tali eventi rappresentino certamente dei primi passi sicuri nella transizione verso stati democratici e aperti, occorre notare che i partiti Islamisti hanno riportato una netta vittoria da Rabat al Cairo. In tutti e tre i Paesi, i gruppi che fanno riferimento all’Islam prendono posizioni moderate, indicandolo come una serie di valori piuttosto che una serie di leggi e ponendo se stessi in netta contrapposizione con i regimi di cui prendono il posto, sebbene rimangano poco chiari su vocaboli specifici e che possono essere interpretati in molti modi differenti.
I paesi arabi, che si estendono dall’Oceano Atlantico alle sponde del Mar Rosso, hanno percorso un lungo cammino nel corso degli ultimi nove mesi e, dopo alcuni aggiustamenti iniziali, hanno agito correttamente, gettando le basi per un futuro basato sui valori democratici, lo Stato di Diritto e la promozione e protezione dei diritti umani. Una delle prime cose che la Tunisia ha fatto subito dopo la rivoluzione è stata ratificare una serie di trattati internazionali sui diritti umani, non ultimo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.
Questo atto assume un significato particolarmente rilevante all’interno di una regione che è stata testimone nell’ultimo anno di una lunga serie di crimini, tra cui crimini di guerra e crimini contro l’umanità: la ratifica da parte della Tunisia dello Statuto di Roma indica molto chiaramente che il paese rifiuta di diventare un rifugio per criminali di guerra. Con la caduta del regime di Gheddafi in Libia ed i recenti sollevamenti in Siria e Yemen per liberarsi da regimi autocratici – e dai rinnovati crimini che sono stati presumibilmente commessi da entrambe le autorità siriane e yemenite – la presa di posizione della Tunisia contro l’impunità riveste un’importanza fondamentale sia per salvaguardare il futuro del paese che per dar vita ai principi alla base della sua rivoluzione.
I prossimi dodici mesi saranno un test per il Medio Oriente e Nord Africa. Nel corso del prossimo anno, i governi che stanno emergendo dalle recenti elezioni, per la prima volta libere e trasparenti, saranno chiamati ad instaurare sistemi di governo che rispondano all’impulso della rivoluzione e che incontrino i bisogni della popolazione. Facendo questo, saranno chiamati a trasformare l’impegno preso dai governi ad interim in una realtà duratura e dovranno farlo attraverso un processo che promuova e protegga i diritti umani, lo Stato di Diritto ed i principi democratici, compresa l’assicurazione di una piena partecipazione da parte dei gruppi storicamente marginalizzati, come donne, giovani e bambini.
L’ironia, in qualche modo, è rappresentata dal fatto che sotto i regimi di Ben Ali o Mubarak, le donne hanno goduto di una protezione relativamente buona dei loro diritti, anche se altri diritti fondamentali erano violati. Le donne sono riuscite poi a mantenere i loro diritti nel periodo immediatamente successivo alla rivoluzione, come evidenziato dalle recenti elezioni, durante le quali è stato posto come requisito che uomini e donne fossero ugualmente rappresentati all’interno delle liste elettorali, fatto quasi senza precedenti.
Tuttavia, la paura che le vittorie elettorali da parte dei partiti islamisti possano condurre ad un’erosione dei diritti delle donne – e dei diritti umani in generale – continua a rimanere sullo sfondo. La buona notizia è che da quando la rivoluzione ha avuto inizio, la società civile – limitata tanto da quasi scomparire sotto i precedenti regimi, se non legata al governo – è rifiorita. Le Organizzazioni Non Governative hanno giocato un ruolo importante nel cammino verso queste elezioni, mobilitando la cittadinanza, promuovendo l’attiva partecipazione alla vita pubblica, di cui le elezioni rappresentano un momento chiave, e conducendo campagne di educazione e sensibilizzazione per informare i cittadini sui loro diritti fondamentali, aspetto critico per rafforzare la comprensione e l’accettazione della democrazia. Questo è particolarmente rimarcabile, dal momento che esse, non solo devono fornire nuovi concetti e nuovi approcci alla popolazione (che non è mai un compito facile in nessun luogo), ma anche – e allo stesso tempo – imparare ad essere e ad agire come società civile. Esse hanno esercitato questo nuovo ruolo con entusiasmo, sostenute dalla stessa determinazione che ha facilitato il successo della rivoluzione nel suo insieme.
Le onde d’urto provenienti dalla Primavera Araba hanno avuto ripercussioni lontane, infondendo energia in vari gruppi per chiedere giustizia sociale e dignità umana, sia nella regione MENA che nei Paesi occidentali. Infatti, mentre ci avviciniamo al primo anniversario della Primavera Araba, si avverte in occidente un bisogno crescente di cominciare a sviluppare un approccio differente nei confronti dei paesi arabi, che non sia basato su “Islam contro dittatura” da un lato né su “stabilità contro diritti umani” dall’altro.
In particolare, l’Occidente deve finalmente cominciare a sostenere i suoi alleati più stretti all’interno della regione, quelle organizzazioni e quegli individui che hanno sofferto anni di persecuzione da parte dei regimi dittatoriali e di oblio da parte degli “occidentali”. Solo abbracciando in pieno i valori e i principi della democrazia, sanciti nelle Costituzioni nazionali e nei Trattati Europei, e sostenendo quegli uomini e quelle donne coraggiosi che per gli stessi principi hanno affrontato le prigioni di Ben Ali e le torture di Mubarak e realizzato la Primavera Araba, l’Europa potrà assistere le nuove democrazie della sponda meridionale del Mediterraneo, permettere loro di crescere e prosperare, e tenere la fiamma della primavera araba accesa per tutti coloro che – in Siria, Yemen, Bahrein e Iran – sono ancora costretti a lottare e morire per i loro diritti.
* Gianluca Eramo è il Coordinatore del programma per la Democrazia nella regione MENA e Responsabile dell’ufficio di New York di Non c’è Pace Senza Giustizia