Yemen: per costruire un futuro democratico è necessaria la giustizia di transizione

18 Giu, 2012 | Comunicati Stampa

Gianluca Eramo*, New York, 18 giugno 2012

 

Nonostante lo Yemen sia stato uno dei primi Paesi della regione a seguire l’esempio della Tunisia, e ad iniziare una lotta pacifica e nonviolenta per la riforma delle istituzioni nazionali e rimuovere il corrotto e violento regime dell’ex Presidente Saleh, che ha governato per 30 anni il Paese attraverso coercizione e costante repressione dei diritti umani fondamentali, la strada verso la democrazia è ancora lunga. Senza dubbio gli obiettivi principali della Primavera Araba yemenita, la cacciata del Presidente Saleh e l’inizio di un processo democratico, sono stati raggiunti. La povertà del Paese ed il suo panorama politico, tuttavia, se possibile ora ancora più complesso e sfavorevole a causa della sua configurazione geografica, sono fattori che stanno tutt’ora ostacolando un rapido e completo coronamento delle aspirazioni della popolazione yemenita.
La comunità internazionale continua a seguire con attenzione il susseguirsi degli eventi nel Paese, non solo per via della sua posizione geopolitica all’imbocco del Mar Rosso, ma anche perché trent’anni di corruzione e di gestione della politica a livello tribale hanno creato un terreno ideale per il proliferare di elementi terroristici e nessun miglioramento per una delle popolazioni più povere della Terra, da molti considerata ancora sull’orlo del fallimento.
Tuttavia, la speranza che una gioventù coraggiosa ed una società civile esuberante riescano a raggiungere i loro obiettivi è ancora forte, e diversi progressi sono stati fatti nel Paese negli ultimi 18 mesi. Le massicce proteste popolari e dimostrazioni nelle principali città dello Yemen, infatti, e la risposta nonviolenta espressa da società civile e sostenitori della democrazia contro i proiettili e i coltelli dell’esercito e delle milizie di Saleh, costituiscono un segnale di maturità politica. L’ascesa di figure politiche come Tawakkul Karman, inoltre, che ha ricevuto il Premio Nobel nel 2011 ed è divenuta un attore di primo piano nella lotta dello Yemen per la democrazia, rappresenta un simbolo per tutte le donne arabe che si battono per un futuro migliore, per loro stesse così come per i loro Paesi.
A seguito delle elezioni presidenziali in febbraio 2012 e l’allontanamento di Saleh dal Palazzo Presidenziale, il nuovo Governo sta ora lottando per attuare la seconda fase dell’Accordo di Transizione raggiunto lo scorso anno dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, e sostenuto dalle Nazioni Unite in due Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. La Risoluzione 2051, adottata il 12 giugno, evidenzia i seguenti obiettivi: 1) ricercare la creazione di un completo ed onnicomprensivo processo di dialogo nazionale, volto a bilanciare e comporre le differenti forze in gioco e principalmente scongiurare il rischio crescente di una partizione del Paese tra le regioni del Nord e del Sud, e trovare altresì una soluzione al decennale conflitto con gli Houti lungo il confine settentrionale con l’Arabia Saudita; 2) iniziare un processo di riconciliazione nazionale attraverso meccanismi di giustizia di transizione; e 3) supportare le riforme costituzionali ed elettorali che dovrebbero condurre alle elezioni generali entro febbraio 2014.
Raggiungere questi obiettivi sarà difficile ed impegnativo, anche perché vi sono elementi del passato regime che stanno ancora lavorando attivamente per boicottare il processo democratico, e continuano a trattenere il Paese sull’orlo del collasso, principalmente attraverso intimidazioni ed attacchi terroristici contro forze e rappresentanze governative. Al fine di evitare l’avverarsi di questo scenario, la risoluzione 2051 esprime anche la prontezza e disponibilità del Consiglio di Sicurezza, qualora questo tipo di episodi dovessero continuare, a considerare interventi ulteriori, tra cui possibili misure previste dall’articolo 41 della Carta delle Nazioni Unite. Tale mossa costituirebbe un passo audace da parte dei membri del Consiglio di Sicurezza, sebbene sia difficile immaginare come un regime di sanzioni imposte ad un Paese già profondamente diviso ed impoverito possa essere di aiuto nel sostenere e rinforzare la transizione democratica in Yemen.
Se la comunità internazionale ha davvero l’intenzione di impegnarsi per lo Yemen, e per la transizione alla democrazia ed allo stato di diritto che questo Paese sta affrontando, deve, di conseguenza, essere supportato ed inaugurato immediatamente un profondo ed olistico processo di giustizia di transizione. Questo iter potrebbe addirittura prevedere il deferimento alla Corte Penale Internazionale (CPI) di quelle entità ed individui che negli ultimi 18 mesi non hanno fatto altro che terrorizzare la popolazione, e che dispongono ancora di potenti leve in grado di bloccare il processo di riforme.
I prossimi mesi saranno particolarmente critici per lo Yemen e per il futuro della Primavera Araba stessa. Se, infatti, la seconda fase della transizione funzionerà, se la nuova costituzione e legge elettorale saranno sviluppate sulla base dei reali bisogni del Paese e della popolazione, senza spazio alcuno perché poteri provvisori ed anti-democratici si possano insinuare nel processo politico di transizione e tenere la democrazia ostaggio di interessi passati e futuri, come sta purtroppo succedendo in queste ore a Il Cairo, e se, infine, sarà posta fine all’impunità e coloro che portano le maggiori responsabilità per gli abusi commessi negli ultimi 18 mesi saranno messi sotto processo, allora il panorama politico dello Yemen potrà davvero cambiare offrendo così un esempio costruttivo per altri Paesi, come la Libia o addirittura la Siria, di transizione verso istituzioni aperte e democratiche.
*Gianluca Eramo è il Coordinatore del Programma per la Democrazia nella Regione MENA, e capo dell’ufficio di New York di NPSG.