Presidente Kenyatta a Londra: nessuna sfida per la Corte Penale Internazionale

12 Mag, 2013 | Comunicati Stampa

Greta Barbone, Non c’è Pace Senza Giustizia, 12 maggio 2013

 

Il 6 maggio 2013, il recentemente eletto presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta è arrivato a Londra per una visita di tre giorni. Lo scopo del suo viaggio era quello di partecipare a una conferenza organizzata congiuntamente dal governo britannico e dal governo somalo per l’ottenimento del sostegno internazionale nella ricostruzione della Somalia. Si tratta del primo viaggio del Presidente keniota al di fuori de confini africani dopo la sua elezione avvenuta lo scorso marzo.

Mentre il ruolo strategico del Kenya nel sostegno al processo di transizione somalo è innegabile, molti affermano che l’invito da parte del Regno Unito alla partecipazione di un incontro alla presenza di molti Stati facenti parte della Corte Penale Internazionale (CPI) è, invece, un tradimento nei confronti della corte stessa. Il Presidente Kenyatta, infatti, è stato accusato dalla CPI di essere coinvolto nelle violenze avvenute in Kenya nel periodo post-elettorale dal 2007 al 2008 e di aver quindi commesso crimini contro l’umanità. Secondo tale ragionamentol’atto di incontrare pubblicamente un individuo incriminato dalla CPI tradirebbe gli ideali stessi della Corte in quanto ente istituito per l’eliminazione dell’impunità e per la promozione della riparazione e della dignità delle vittime. È davvero così? La partecipazione del Presidente Kenyatta alla conferenza al fianco di Stati membri della CPI rappresenta davvero un tradimento nei confronti della Corte?

Per rispondere a tale domanda, dobbiamo guardare ai fatti e analizzarli in termini giuridici e politici, evitando le trappole costituite da denunce di tipo convenzionale o da accuse mirate che sono francamente troppo superficiali nell’affrontareun caso come questo. In primo luogo, il Presidente Kenyatta non è un fuggitivo della CPI, in quanto in seguito alla richiesta della Corte, Kenyatta si è presentato volontariamente a L’Aja, partecipando al procedimento secondo le norme e le procedure della Corte. Successivamente, la Corte lo ha accusato di crimini contro l’umanità. La sua risposta è stata quella di impegnarsi a continuare a cooperare con la Corte anche durante il suo processo, la cui apertura è stata fissata per il 9 luglio 2013. Lungi dall’essere un fuggitivo della CPI, il Presidente Kenyatta sta facendo esattamente la cosa giusta: cooperare con la Corte sottoponendosi volontariamente alla sua giurisdizione. In secondo luogo, qualsiasi cosa si possa pensare a proposito dell’appropriatezza politica della lista degli ospiti della Conferenza per la Somalia 2013, il Regno Unito e gli altri governi presenti alla conferenza sono pienamente conformi con le linee guida delle Nazioni Unite a proposito del”contatto essenziale” con persone ricercate dalla CPI. Tali linee guida, che sono state riformulate solo lo scorso aprile, stabiliscono chiaramente che non ci sono restrizioni alle interazioni con le persone che sono citate in una richiesta ufficiale a comparire di fronte alla Corte o che stanno collaborando con quest’ultima.

La partecipazione del Presidente Kenyatta alla Conferenza è in realtà un’affermazione implicita del fatto che ciò gli è consentito proprio perché ha cooperato con la Corte. Questo significa che gli sarà consentito di partecipare a questo genere di eventi solo se tale collaborazione continuerà. Il Presidente Kenyatta ha rispettato la CPI ed ha ribadito il suo impegno a rispettare gli obblighi internazionali in futuro. Se tale episodio dovesse essere considerato come una “lezione imparata”, ci insegnerebbe sicuramente che rifiutandosi di cooperare con la Corte si perde inevitabilmente il contatto con la comunità internazionale, mentre rispettando le norme internazionali e cooperando è ancora possibile avere contatto con gli altri leader.

Pertanto, il Presidente Kenyatta e il governo del Kenya devono assumere un atteggiamento molto cauto e mostrare costantemente la loro volontà di cooperare con la Corte. Qualsiasi mossa sbagliata del Presidente Kenyatta che suggerisca una sua intenzione di rinnegare il suo impegno di cooperazione odi mettere in discussione gli obblighi del Kenya in veste di Stato membro della CPI porrà il Presidente Kenyatta in una situazione molto difficile. La sua libertà di movimento in tutto il mondo, così come la sua capacità di incontrare i leader mondiali dipende interamente dalla sua collaborazione con la Corte. Nel momento in cui il Presidente Kenyatta ed il governo del Kenya dovessero in qualsiasi modo mettere in discussione i loro obblighi di cooperazione, la CPI avrà l’obbligo di emettere un mandato di arresto, che rappresenta l’unica azione da intraprendere secondo lo Statuto di Roma, nel caso in cui la persona chiamata a comparire di fronte alla Corte minacci o decida di interrompere la cooperazione. Uno scenariosimile cambierebbe radicalmente l’attuale situazione del Presidente Kenyatta e la sua capacità di partecipare a importanti trattative di tutto il mondo.

È rilevante sottolineare che la conferenza offre anche la possibilità agli Stati membri della CPI di ricordare al Presidente Kenyatta l’importanza della sua continua collaborazione con la Corte ed i suoi obbligo di attribuzione delle responsabilità per le violenze commesse sul territorio keniota. La ricerca della giustizia non può essere intrapresa esclusivamente dalla CPI, la quale rivolge la propria attenzionesui maggiori responsabili. Il Kenya ha infatti la responsabilità primaria sui suoi cittadini, tra cui centinaia di migliaia di vittime a cui deve essere garantita la giustizia. La partecipazione del Presidente Kenyatta e dei tre coimputati ai processi presso la CPI serve anche a fornire al governo del Kenya l’opportunità di dimostrare la sua ferma opposizione alla perpetrazione di crimini di massa a sfondo politico. In particolarecon la Commissione per la Verità pronta a consegnare il propriorapporto al Presidente Kenyatta, che include raccomandazioni per l’azione penale, la magistratura keniota deve essere messa nella condizione di poter indagare e perseguire penalmente tutti i responsabili delle violenze post-elettorali in Kenya. Nonostante il Presidente Kenyatta stia mostrando alla comunità internazionale che è disposto ad assumersi tali responsabilità, deve anche garantire chei numerosi singoli autori in Kenya siano altresì tenuti a rendere conto, tramite un processo giusto e imparziale che garantisca il risarcimento per le vittime ma anche la tutela dei diritti delle persone accusate.

Questo è forse il messaggio più significativo che gli Stati Parte della CPI possano fornire al Presidente Kenyatta a Londra questa settimana: continua a cooperare con la CPI e potrai continuare ad avere un ruolo; ma per favore fai in modo che le vittime del tuo paese ricevano la giusta riparazione.

* Una versione precedente di questo articolo è stata pubblicata sul Daily Monitor (Uganda)