Giornata della Giustizia Internazionale: rinforzare l’impegno e l’azione

17 Lug, 2013 | Comunicati Stampa

Bruxelles – Roma – New York, 17 Luglio 2013

Oggi, 17 luglio, si celebra la Giornata della Giustizia Penale Internazionale: dopo anni di campagne sostenute da Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) e molte altre organizzazioni, questa data è stata stabilita dall’Assemblea degli Stati Parte (ASP) della Corte Penale Internazionale (CPI) nel corso della prima Conferenza di Revisione dello Statuto di Roma tenutasi a Kampala, in Uganda, nel giugno 2010. Il Giorno della Giustizia Penale Internazionale segna l’anniversario dell’adozione dello Statuto di Roma da parte di 120 Stati nel 1998. Lo Statuto di Roma è il trattato fondativo della Corte, che è entrata in funzione il 1 luglio 2002.

Dichiarazione di Alison Smith, Consigliere Legale di Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG):

“Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT) celebrano la giornata della Giustizia Penale Internazionale insieme ai loro partner nel mondo. Nel giorno della nascita della CPI, attraverso l’adozione del suo Statuto, desideriamo commemorarne l’evento con i nostri partner e con tutti coloro che lavorano per la lotta contro l’impunità, Corte compresa.

“Lo scorso anno abbiamo celebrato il 10° anniversario della nascita della Corte. Da allora, ci sono stati diversi sviluppi nel campo della giustizia internazionale: alcuni ben accolti, altri preoccupanti e altri ancora auspicati invano. Affinché la battaglia contro l’impunità sia vinta, due cose dovranno accadere: gli Stati dovranno anzitutto confermare le loro parole sull’impegno contro l’impunità, là dove si corrono dei rischi; inoltre dovranno attenersi a quelle parole e confermare le loro responsabilità. In tutto ciò, le vittime e le popolazioni colpite da tali crimini dovranno essere e rimanere al centro della scena: esse non sono un “di più” o un lusso, ma la vera ragione per cui è importante combattere l’impunità ad ogni livello.

“Sulla Siria, ci sono stati alcuni sforzi da parte della Svizzera e di altri paesi per mettere a fuoco l’accountability per le violazioni in corso, chiedendo al Consiglio di sicurezza dell’ONU di deferire alla CPI la situazione in Siria. Questi paesi meritano il nostro rispetto e il nostro sostegno: hanno almeno mantenuto una responsabilità chiave nel tentativo di risolvere la crisi siriana. La CPI stessa non può sempre essere la risposta all’attribuzione di responsabilità in ogni situazione, ma la sua esistenza come una minaccia, una promessa e un ultimo ricorso ha creato un’aspettativa tale che il silenzio e l’inazione di fronte alle atrocità non sono più una strada possibile in Siria. Allo stesso tempo, vi è stata una modesta accountability in Bahrein, nonostante le richieste di giustizia e di riparazione da parte della società civile per le violazioni, passate e in corso, dei diritti umani fondamentali. NPSG e il PRTTT domandano alla comunità internazionale maggiore attenzione su quanto accade in Bahrein e chiedono inoltre di sostenere quegli attori del paese che cercano di ottenere l’attuazione delle raccomandazioni della Commissione Indipendente d’Inchiesta e della Universal Periodic Review. La situazione in Bahrein può sembrare meno grave rispetto alla Siria, ma non è meno grave per le vittime e per una nuova generazione che sta crescendo con l’aspettativa di impunità.

“Alcuni giorni addietro, abbiamo commemorato il 18mo anniversario del genocido di Srebrenica, come altri hanno fatto nel resto del mondo. Ogni anno in giornate come questi – commemorazioni del peggior giorno della loro vita per le vittime – siamo chiamati a ricordare che le vittime sono dei superstiti con dei diritti. Questi uomini, queste donne e questi bambini non sono oggetto di pietà, ma esseri umani con un diritto alla giustizia e alla riparazione, e soprattutto un diritto di parola su decisioni riguardanti la loro stessa vita. Siamo orgogliosi di aver favorito ciò in ogni parte del mondo, specialmente in paesi come Libia e Tunisia, in cui le vittime hanno subito la doppia repressione di una vita all’interno di regimi dittatoriali. In tal senso, è fondamentale che le vittime possano attribuire una responsabilità ai governi e a tutti coloro i quali abbiano commesso degli atti criminali contro di loro. Spetta alla comunità internazionale – compresa la Corte Penale Internazionale – di accogliere questa richiesta e di fornire alle vittime gli strumenti necessari per continuare la loro vita, anche attraverso i conti con il passato.

“È inoltre importante che la lotta contro l’impunità non svanisca semplicemente con il passare del tempo. Per questo motivo, siamo lieti che il Meccanismo delle Nazioni Unite per i Tribunali Penali Internazionali (MTPI), l’organizzazione erede dei Tribunali penali internazionali per la ex-Jugoslavia e per il Ruanda, sia ora pienamente operativo e possa assicurare la giustizia dopo il TPIR et il TPIY. Allo stesso modo, la Corte Residuale Speciale per la Sierra Leone si prepara ad aprire le sue porte e garantire vari obblighi della Corte Speciale – inclusa la protezione delle vittime e dei testimoni. Tali obblighi saranno confermati quando la Corte Speciale avrà concluso i suoi lavori con la “Taylor Appeals Decision” alla fine di quest’anno. Nel sondaggio che abbiamo condotto lo scorso anno sull’Impatto e sul Lascito della Corte Speciale, i popoli della Siera Leone e della Liberia hanno espresso il timore che, una volta che il tribunale avesse chiuso i battenti, l’impunità avrebbe potuto farsi nuovamente strada. In tal senso, la Corte Speciale Residuale dovrebbe assicurarsi che ciò non accada. Per questo motivo, NPSG e il PRNTT sollecitano fortemente la comunità internazionale, e segnatamente quegli Stati vicini da tempo alla Sierra Leone, al fine di garantire che la Corte Speciale Residuale percepisca quel modesto finanziamento di cui ha bisogno per svolgere le funzioni essenziali e garantire che l’eredità della Corte Speciale non sia persa per la Sierra Leone o per l’intera regione.

“Per la Corte Penale Internazionale stessa, questo è stato un anno di alti e bassi. Benché essa confermi la capacità di mantenere e rafforzare la sua rilevanza e il suo impatto, la CPI deve adesso mostrare i denti. Essa deve essere sufficientemente ricca di risorse e supportata, effettiva ed efficiente per costituire una vera minaccia e non un finto spauracchio. Per avere autorità di fronte alla promessa di giustizia, tutti gli Stati parte dovrebbero rispondere ai loro obblighi sotto lo Statuto di Roma e cooperare pienamente con la CPI, in particolare assicurando l’applicazione di tutti i suoi mandati di cattura eccezionali. Noi non possiamo – e non dobbiamo – dimenticare che vi sono ancora numerosi latitanti: il loro arresto immediato e il passaggio altrettanto immediato alla fase processuale sono almeno il minimo che le vittime meritano. Tutti gli Stati devono garantire che non ci sarà rifugio sicuro nel mondo per tutti i criminali di guerra latitanti.

“Per la stessa ragione, gli Stati Parte devono assicurare sufficienti risorse finanziarie per la CPI e supporto per il suo lavoro, per dare giustizia e riparazione alle vittime, che devono essere accompagnate dal coraggio e dalla dedizione della Corte, adempiendo alle promesse ed effettuando connessioni e impatto reali. Per assicurare il suo impatto, la scommessa principale della CPI sta nel suo lavoro di sensibilizzazione e nella sua presenza sul campo; due aree che, nonostante gli importanti progressi compiuti, rimangono inadeguate stanti le domande inoltrate alla CPI e le promesse da adempiere. Tali sforzi avranno un impatto enorme negli anni a venire, in relazione all’abilità della Corte di assicurare un lascito positivo e duraturo, ripristinando la fiducia nello Stato e nelle istituzioni di diritto e costruendo una pace sostenibile nei Paesi in cui opera e nella maniera in cui essa è percepita. Ringraziamo in tal senso il Procuratore della CPI, Fatou Bensouda, e il suo cancelliere, Herman von Hebel, per l’impegno dimostrato per i gruppi dei quali da tempo si occupano, vale a dire le vittime dei crimini indagati e perseguiti dalla CPI, e auspichiamo di sostenerli nei loro instancabili sforzi futuri.

“Di fronte ai successi e alle scommesse della Corte, noi abbiamo il dovere di tenere sempre a mente lo scopo finale: il sogno utopico nel quale la CPI non avrà mai più casi da giudicare, perché non ce ne saranno semplicemente più o, più probabilmente, perché tali casi saranno giudicati dagli Stati, che hanno la responsabilità primaria di investigare e, dove necessario, di perseguire i crimini secondo la legge internazionale. Questa visione, certamente lontana nel tempo, deve guidare non solo il lavoro della CPI stessa, ma anche il lavoro di tutti coloro che nel mondo mirano alla fine dell’impunità, indipendentemente dal modo in cui ogni singolo caso possa essere percepito dal resto del mondo.

Per maggiori informazioni, è possibile contattare Alison Smith all’indirizzo asmith@npwj.org o al +32-2-548 39 12 oppure Nicola Giovannini all’indirizzo ngiovannini@npwj.org o al +32-2-548-39 15.