Il 3 novembre la Corte Suprema del Bangladesh ha emesso il suo verdetto sul caso di Muhammad Kamaruzzaman, confermando la condanna a morte emessa dal tribunale di grado inferiore. Questo giudizio così controverso è l’ultimo di una serie di decisioni che hanno causato proteste diffuse e portato all’attenzione serie preoccupazioni riguardanti violazioni del diritto a un equo processo. Il Bangladesh infatti, ignorando queste preoccupazioni legittime, sta dando sempre più adito alla teoria secondo la quale i processi al cospetto del Tribunale per i Crimini Internazionali del Bangladesh non siano altro che un’arma di punizione politica piuttosto che un tentativo genuino di fare giustizia condannando i crimini del passato.
Sono state espresse preoccupazioni relative al fatto che il trasferimento di Kamaruzzaman alla prigione centrale di Dakka possa rappresentare il rischio di una condanna a morte imminente. Non c’è Pace Senza Giustizia e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito invitano il governo del Bangladesh a rispettare i diritti legali di Kamaruzzaman e a permettergli di presentare successivi appelli, inclusa una petizione per chiedere la revisione del suo caso e una richiesta di grazia al Presidente. Il Governo del Bangladesh dovrebbe immediatamente sospendere la condanna a morte di Kamaruzzaman e concedergli la possibilità di esercitare i suoi diritti legali; dovrebbe inoltre adottare una moratoria sulla pena di morte in generale, viste le preoccupazioni destate dalla situazione del sistema giudiziario del paese.
NPSG e il PRNTT riaffermano la loro convinzione secondo la quale il Tribunale per i Crimini Internazionali offra un’opportunità reale per giudicare i crimini del passato. Tuttavia, allo stato attuale, il Tribunale non rappresenta altro che uno strumento di punizione politica, poiché i processi e le decisioni prese dalla Corte non rispondono alle preoccupazioni sollevate a livello nazionale e internazionale. Alcuni di questi dubbi riguardano l’incapacità dei giudici del Tribunale di applicare principi legali trasparenti, il fatto che gli stessi giudici abbiano arbitrariamente deciso di diminuire il numero dei testimoni per la difesa e la presenza di evidenti faziosità del Tribunale nel suo approccio al caso Kamaruzzaman.
In generale, il Tribunale per i Crimini Internazionali non ha raggiunto lo scopo di giudicare coloro che commisero crimini a carattere internazionale nel corso del conflitto del 1971. Al contrario, ha di fatto fornito meccanismi attraverso cui attaccare un’opposizione politica legittima. NPSG e il PRNTT, quindi, chiedono al Governo del Bangladesh di istituire un’inchiesta indipendente sulle modalità in cui opera il Tribunale per i Crimini Internazionali, ordinando che allo stesso tempo vengano sospesi i casi attualmente in esame della Corte fino al termine dell’inchiesta. Desmond de Silva aveva avvertito che i limiti della Corte, così come il suo fallimento nella costituzione di un tribunale internazionale, avrebbero causato ulteriore violenza e divisioni tra i cittadini del Bangladesh, impendendo loro di ottenere la riconciliazione che meriterebbero. Per superare la situazione attuale il Governo del Bangladesh dovrebbe costituire un Tribunale che possa permettere ai cittadini di beneficiare di riparazione e vera giustizia.
Per ulteriori informazioni, è possibile contattare Alison Smith all’indirizzo mail asmith@npwj.org o al numero +32-2-548 39 12 o Nicola Giovannini all’indirizzo mail ngiovannini@npwj.org or +32-2-548-3915.