Il Governo libico diviso e le sue milizie litigiose stanno, infatti, lacerando il Paese. Questa è la ragione principale per cui lo Stato Islamico si è radicato ancor più profondamente in una base a Sirte, città natale sul Mediterraneo del deposto dittatore libico Gheddafi. Le Nazioni Unite e le grandi potenze puntano sul fatto che una forte spinta da parte della comunità internazionale possa aprire la strada alla creazione di un governo libico che ripristini l’ordine e diventi un partner per la lotta al terrorismo e il controllo delle migrazioni. Sarebbe una scommessa irresponsabile. All’accordo per l’unità sotto l’egida dell’Onu si oppongono rigidamente i due parlamenti rivali della Libia – il Congresso Generale Nazionale (GNC) nella capitale, Tripoli, e la Camera dei Rappresentanti (HoR) nella città orientale di Tobruk.
Lo scorso fine settimana, i delegati libici dei due parlamenti hanno annunciato un piano di pace alternativo. Le potenze occidentali hanno respinto l’iniziativa, affermando che il piano dell’Onu era l’unica strada percorribile. La nuova unica autorità riconosciuta della Libia proposta sarebbe guidata da Faez Serraj, politico relativamente sconosciuto prima della sua nomina da parte dell’Onu a ottobre. È molto probabile che le condizioni di sicurezza impediranno a Serraj e ai suoi colleghi di entrare in carica a Tripoli.
Questo significa che non avranno controllo sull’amministrazione statale, compresa la Banca Centrale. Si potrebbe innescare una rinnovata lotta per il controllo della capitale tra le fazioni che appoggiano e quelle che si oppongono al nuovo governo. Diplomatici esperti e funzionari delle Nazioni Unite coinvolti nel processo dicono che stanno rispondendo a un’enorme pressione politica da parte delle grandi potenze, tra cui gli Stati Uniti. Il preoccupante risultato è che importanti sostenitori libici del piano di pace stanno cominciando a pensare che la comunità internazionale insista per imporre un accordo su un governo che non può sopravvivere nelle fratture del panorama politico libico. Non è tuttavia troppo tardi per apportare piccole modifiche al summit di domenica a Roma per migliorare le probabilità di successo della trattativa. I negoziatori hanno bisogno di tenere la porta aperta alle varie iniziative di dialogo che i libici hanno lanciato nelle ultime settimane, non di chiudergliela in faccia con aria di sufficienza.
* Emma Bonino è ex ministro degli Esteri italiano e fondatrice di Non c’è Pace Senza Giustizia, Jean-Marie Guéhenno è presidente di International Crisis Group.
Sullo stesso tema:
- Ascolta l’intervista di Gianluca Eramo, Coordinatore del Programma per la Democrazia nella regione MENA, Radio Radicale, Rubbrica settimanale di NPSG, 11 dicembre 2015
- Vai alla sezione dedicata al Programma sulla Giustizia Transitoria in Libia di NPSG