Bruxelles – Roma, 6 Aprile 2016
Il 5 Aprile 2016, la camera di primo grado V(A) della Corte Penale Internazionale ha deciso a maggioranza, solo il giudice Olga Herrera Carbuccia ha dissentito, di liberare dalle accuse e terminare il caso contro il Vice Presidente Keniano William Ruto e l’ex speaker radiofonico Arap Sang. Questa decisione potrebbe essere soggetta ad un appello nel caso vi fosse la possibilità di portare nuove accuse, sostenute da sufficienti prove, o davanti la stessa Corte Internazionale o davanti ad una corte nazionale. Il Vice Presidente Ruto e il Signor Sang stavano affrontando tre capi di imputazione per crimini contro l’umanità (omicidio, persecuzione e deportazione o trasferimento forzato della popolazione) che sarebbero stati commessi nel contesto della violenza post-elettorale tra il 2007 e 2008 in Kenya, che ha causato più di un migliaio di morti e centinaia di migliaia di sfollati.
Dichiarazione di Alison Smith, consigliere legale di Non c’è Pace Senza Giustizia:
“La decisione di ieri è chiaramente una grave battuta d’arresto nel processo di assicurare un risarcimento per le centinaia di migliaia di vittime Keniane e nel tentativo di garantire alla popolazione che i giorni di violenza da parte del potere politico in Kenya, sono finiti. Avendo lavorato per molto tempo a stretto contatto con la Commissione Nazionale sui Diritti Umani Keniana sulla raccolta di informazioni fin dai primi mesi del 2008, siamo chiaramente delusi. Ma questo non è niente in confronto a come si devono sentire le vittime dei crimini.
“Come evidenziato dalla sentenza dei giudici della Corte Penale Internazionale, i preoccupanti episodi di sistematica interferenza nei confronti dei testimoni (anche attraverso la corruzione e l’intimidazione), e l’intollerabile ingerenza politica sono i fattori chiavi che hanno portato alla decisione di ieri. È impossibile sapere se le prove del Procuratore, in circostanze meno ostili, sarebbero state sufficienti a sostenere le accuse. Tuttavia, annullandole, almeno una porta è stata lasciata aperta per azioni penali future sia alla Corte Internazionale sia ai Tribunali Nazionali. La possibilità di ottenere giustizia è ancora là; la liberazione da queste accuse in questo momento, non ha né spogliato la CPI delle sue competenza, né ha soppresso la possibilità che le imputazioni possano essere mosse contro coloro che furono inizialmente accusati della commissione dei reati durante le violenze post-elettorali nel 2007-8.
“Occorre fare di più per evitare che questo si verifichi in futuro. La decisione di ieri ha ulteriormente dimostrato che la corte era impreparata ad affrontare adeguatamente le sfide incontrate nelle sue indagini in Kenya, soprattutto quando sono coinvolte persone politicamente potenti, e il dibattito sull’ambiente politico mette in evidenza la necessità di un più forte sostegno alla CPI da parte dei suoi Stati Membri e non solo.
“Per la Corte penale internazionale, il risultato di ieri – così come con il ritiro delle accuse contro il presidente Kenyatta – indica il fallimento della precedente strategia investigativa dell’ufficio del procuratore. La mancanza di presenza sul campo della Divisione investigativa CPI, quando le condizioni lo consentivano, rendono quasi impossibile costruire quel tipo di rapporto e di fiducia con i testimoni, che è necessario per sostenere il suo lavoro, dai contatto iniziali fino al processo. La caduta delle accuse contro il Vice Presidente Ruto e il signor Sang indicano anche che la precedente strategia di indagini focalizzate, semplicemente non ha funzionato. In situazioni complesse come quelle in Kenya – e in effetti tutte quelle oggetto di indagine presso la Corte penale internazionale – vi è una necessità di corrette, complete e sostenute indagini da parte di professionisti esperti. Questo è l’unico modo per assicurare che il procedimento abbia prove sufficienti per attestare la responsabilità penale della persona contro cui sono presentate le accuse.
“Noi ci auguriamo che le modifiche apportate dall’Ufficio del Procuratore e dalla Cancelleria nel corso degli ultimi due anni possano correggere queste mancanze del passato e promuovere la riflessione in corso per continuare a migliorare il processo, tra cui la ristrutturazione dei programmi di protezione dei testimoni della Cancelleria. Noi incoraggiamo il Procuratore ad assumere uno sguardo nuovo su che cosa il suo Ufficio può fare per andare avanti con questi casi. Questo non può essere la fine del processo per le vittime della violenza post-elettorale.
“Noi Incoraggiamo inoltre l’assunzione delle responsabilità per coloro che sarebbero stati coinvolti nella ‘manipolazione’ delle testimonianze: ci dovrebbero essere indagini complete e, ove giustificate, le accuse dovrebbero essere rivolte contro i responsabili, come è stato fatto in questo caso. I tre individui accusati di aver influenzato i testimoni – Walter Barasa, Paul Gicheru, e Philip Kipkoech Bett – devono essere consegnati immediatamente alla CPI. Il loro processo può anche fornire qualche informazione sulla portata e le modalità delle condotte che hanno minato questo caso e contribuire ad evitare situazioni simili in futuro.
“Otre a ciò, gli Stati parte della CPI devono assumere uno sguardo critico rispetto al lor ruolo nel sostenere il sistema di giustizia penale internazionale e assicurare che l’indipendenza della Corte sia protetto. I casi riportati in Kenya – in particolare quelli contro il presidente Kenyatta e il Vice Presidente Ruto – potrebbero anche essere stati l’innesco per una campagna politica concertata contro il CPI. Ma il fatto che quei casi non siano attualmente perseguiti non segnala la fine di quella campagna. Ci saranno tempi duri davanti; gli Stati membri della CPI devono essere pronti a difendere il sistema e realizzare la sua promessa per la giustizia e il risarcimento delle vittime dei crimini peggiori di tutto il mondo.
“Soprattutto, i nostri pensieri vanno alla popolazione del Kenya e alle vittime dei crimini commessi durante la violenza post-elettorale. Sono loro che devono sopportare il peso della decisione di ieri, che lascia loro negata la giustizia e il risarcimento che giustamente meritano. Purtroppo, il mancato completamento delle cause davanti la Corte penale internazionale e l’assenza di un vero e proprio processo nazionale di assunzione delle responsabilità penali per affrontare i crimini commessi nel 2007-2008 non aiuterà a rompere il ciclo di impunità della violenza a sfondo politico che, in Kenya, è stata la norma per troppo tempo”.
Per maggiori informazioni, contattare Alison Smith, asmith@npwj.org o +32-2-548 39 12, oppure Nicola Giovannini, ngiovannini@npwj.org o +32-2-548-3915.