CPI / Sudafrica: la Corte conferma l’inadempimento dell’obbligo di arrestare il presidente Al Bashir. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite deve assumersi la responsabilità dei propri riferimenti alla CPI

6 Lug, 2017 | Comunicati Stampa

Bruxelles – Roma, 6 luglio 2017

 

A giugno 2015, il Presidente del Sudan Omar al-Bashir, soggetto ad un mandato d’arresto per crimini contro l’umanità e per genocidio emesso dalla Corte Penale Internazionale, ha visitato il Sud Africa per participare ad un vertice dell’Unione Africana. Il Sud Africa, essendo parte dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, ha l’obbligo legale di eseguire tutti gli ordini e le decisioni rilasciati dalla Corte dell’Aia, compresi i mandati di arresto. Il Presidente al-Bashir è riuscito a fuggire dal paese mentre la Corte Suprema Costituzionale si era riunita per discutere di una petizione proveniente dal Centro Contenzioso dell’Africa Meridionale (Southern African Litigation Centre) riguardante il suo arresto e la sua arresa alla CPI. L’episodio è stato successivamente riferito alla Corte Penale Internazionale affinchè fosse determinato se il Sud Africa avesse o no adempiuto agli obblighi internazionali derivanti dallo Stauto di Roma, in particolare l’obbligo di arrestare il Presidente Al-Bashir e consegnarlo alla CPI e, eventualmente, le relative conseguenze per tale inadempimento. Il 6 Luglio 2017, la CPI ha stabilito che il Sud Africa ha effettivamente infranto i suoi obblighi nel momento in cui non ha arrestato il Presidente al-Bashir quando si trovava nel territorio Sud Africano.
« Siamo lieti che con la decisione presa oggi, la CPI abbia risolto la faccenda » ha dichiarato Alison SmithDirettrice del Programma sulla Giustizia Penale Internazionale di Non c’è Pace Senza Giustizia. « Per noi, è sempre stato ovvio che il Sud Africa stesse violando l’ obbligo di arrestare il Presidente al-Bashir e di consegnarlo alla CPI affinchè fosse processato. Non c’è mai stato un conflitto di leggi: lo Statuto di Roma, il diritto internazionale consuetudinario ed anche il diritto nazionale del Sud Africa sono chiari sul fatto che l’immunità dei Capi di Stato, non si applica ai crimini  di diritto internazionale, specialmente quando i mandati di arresto sono rilasciati dalla Corte dell’Aia. »

« Ciò che è stato sorprendente rispetto agli eventi di Giugno 2015 », Smith ha continuato, «  è stato il discostamento rispetto a ciò che era stato dichiarato in merito all’evenutalità in cui fosse avvenuta una visita, quando, appunto, il Sud Africa aveva avvisato il Sudan che avrebbe arrestato il Presidente se questo avesse messo piede sul territorio Sudafricano. Ancora più preoccupante è che le autorità Sud Africane non solo abbiano violato obblighi di diritto internazionale ma anche di diritto interno, compreso un ordine della corte che impediva al Presidente al-Bashir di lasciare il Sud Africa e disponeva il suo arresto senza la richiesta ufficiale della CPI. »

La sentenza dalla Camera Preliminare della CPI di oggi, ha confermato questi obblighi legali e ha decido di non sottoporre la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo che in principio riferì alla CPI della situazione in Darfur. «Un rinvio ufficiale per il mancato rispetto del Sud Africa degli obblighi derivanti dallo Statuto di Roma al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sarebbe stato più che giustificato, data la gravita di quello che è successo due anni fa », Smith ha dichiarato. « La decisione è stata basata sulla convinzione che un rinvio non sarebbe servito a niente per garantire una cooperazione con la Corte ».

Invece, in un rimprovero pungente, la Corte ha osservato che il fallimento sistematico del Consiglio nel prendere misure per garantire la cooperazione degli Stati in certi casi che sono stati riferiti alla CPI, significa che il rinvio sarebbe stato futile. A tale riguardo, Smith fa notare che « questo significa che sembra non esserci nessuna conseguenza per la mancata cooperazione, anche alla luce della risoluzione del Consiglio di Sicurezza che lo richiede. È una vergogna che il Consiglio di Sicurezza non sia stato formalmente avvertito di questa vicenda, dato che nulla è stato fatto da questo organo dopo i due riferimenti alla CPI emessi, ne per incoraggiare la cooperazione ne per indirizzare casi di non-cooperazione. Il Consiglio di Sicurezza deve quindi prestare maggiore attenzione a tale questione e decidere che cosa farà per dare realmente efficacia alle sue decisioni, in accordo con i poteri che, secondo la Carta Onu, gli competono. L’articolo 41 della Carta ONU, per esempio, attribuisce esplicitamente al Consiglio di Sicurezza  il potere di influenzare gli Stati utilizzando metodi non-militari. »

Per maggiori informazioni, contattare Alison Smith (asmith@npwj.org o +32 (0)2 548 39 12) oppure  Nicola Giovannini, Press & Public Affairs Coordinator (ngiovannini@npwj.org o +32-2-548-3915).