Alison Smith*, 20 Novembre 2014
La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (CDI), adottata 25 anni fa, è stata un documento realmente rivoluzionario. Non tanto perché disciplina i diritti umani dei bambini in un unico documento e neanche per essere diventata successivamente lo strumento per i diritti umani maggiormente ratificato nel mondo. La vera innovazione – che continua tutt’oggi ad essere un fondamento nella concettualizzazione dei diritti dell’infanzia – è la concezione del bambino come possessore di diritti, non come mero oggetto di protezione. Ciò ha segnato in diversi modi un punto di svolta nel modo in cui i bambini sono visti nel contesto sociale o comunitario. In tutto il mondo i bambini erano considerati alla stregua di una proprietà, si imponeva loro cosa fare, li si assoggettava ai capricci altrui e in alcuni casi, tra le altre cose, li si sfruttava a beneficio degli adulti. Non esisteva un’idea comunemente accettata che i bambini potessero essere attori razionali, con vite ed interessi separati dalla (anche se parte della) famiglia e dalla comunità in generale. Non c’era neanche un reale riconoscimento che i bambini fossero capaci di prendere, o almeno contribuire a prendere, le decisioni che influenzano le loro vite. Con l’adozione della CDI tutto è cambiato – almeno in teoria, anche se la pratica ha impiegato ed impiega, come al solito, più tempo per mettersi in pari.
Il concetto del bambino come possessore di diritti, comunque, sta dando forma a discussioni e sviluppi riguardo l’attuazione della giustizia internazionale e degli sforzi per l’attribuzione delle responsabilità. Prima dell’inizio del secolo, i bambini erano ignorati quando si parlava di meccanismi di attribuzione delle responsabilità giudiziari ed extra giudiziari. Mentre i reati e altre violazioni contro i bambini non erano totalmente assenti, sia in documenti fondamentali che nei resoconti dei fatti, erano sottovalutati e sottorappresentati in quei meccanismi che hanno fatto poco, se non nulla, per includere i bambini nel loro funzionamento. Il pensiero predominante – se ce n’era uno – era che gli adulti potevano riportare accuratamente le esperienze dei bambini, che inevitabilmente avrebbero trovato troppo stressante o addirittura traumatico partecipare direttamente in prima persona. Questa è una visione ancora oggi condivisa da molti, malgrado il chiaro riconoscimento del diritto del bambino a partecipare in procedimenti giudiziari ed amministrativi che riguardano la sua vita, come rispecchiato nella CDI, e nonostante l’acquisita comprensione di come le sviluppate capacità dei bambini di comprendere questo tipo di procedure e di superare esperienze stressanti possano essere un passo importante nel loro totale recupero dopo un trauma, come nel caso di massicce violazioni dei diritti umani.
Ciononostante, sin dall’inizio del secolo ci sono stati sviluppi nel prestare attenzione alle esperienze dei bambini neli procedimenti giudiziari ed extra giudiziari e nel coinvolgere i bambini nel loro funzionamento. La Corte Speciale per la Sierra Leone, per esempio, si è concentrata sulle esperienze dei bambini in tutte le sue imputazioni e decisioni. Anche diverse commissioni per la verità e altri meccanismi non giudiziari si sono focalizzati sulle violazioni contro i bambini, pubblicando versioni dei loro rapporti adatte ai bambini. Similmente la Corte Penale Internazionale (CPI) si è concentrata sui bambini, anche se attraverso le lenti di casi specifici piuttosto che con le ordinarie esperienze dei bambini come parte rappresentativa di un intero caso, e anche allora con un focus sul reclutamento, l’arruolamento o l’uso attivo di bambini nelle ostilità. Il Procuratore della CPI, subito dopo essere entrata in carica nel 2012, ha indicato che tutto questo dovrà cambiare sotto la sua direzione: l’attenzione non sarà soltanto sui bambini soldato, ma su tutti i bambini toccati dai conflitti armati, inclusi i bambini coinvolti in molti modi diversi nelle forze armate. Il procuratore sta procedendo bene in questo impegno, attraverso le inchieste che sta dirigendo e i casi intrapresi, così come con lo sviluppo di una politica per i bambini, sulla stessa linea della politica sulla violenza sessuale e di genere elaborata non molto tempo dopo essere entrata in carica. Il resto del mondo – riguardo i meccansimi giudiziari ed extra giudiziari – farebbe bene a seguire l’esempio dato da Fatou Bensouda, anche se la incoraggiamo a fare ancora meglio negli anni a venire.
Il 25mo anniversario della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia fornisce l’opportunità, come solo un anniversario di tale importanza può fare, sia di riflettere sui risultati degli ultimi 25 anni, sia di investire su tali risultati per i prossimi 25 anni. La concettualizzazione del bambino, condizione ascrivibile a chiunque sotto i 18 anni, come possessore di diritti è un elemento che dovrebbe rimanere invariato: i bambini sono esseri umani con gli stessi diritti di chiunque altro, anche se con un maggior bisogno di supporto per realizzare tali diritti. Spetta agli adulti di oggi lavorare in tutte le sfere della vita, tra cui la giustizia internazionale e l’attribuzione delle responsabilità, con i bambini di oggi per migliorare come tutto ciò è portato avanti, in modo che faciliti l’appagamento di tutti i loro diritti coerentemente con i loro maggiori interessi. Questo è il miglior regalo che possiamo fare per celebrare questa importante occasione e, sotto molti punti di vista, una delle più importanti responsabilità che abbbiamo.
* Alison Smith è Consigliere Legale e direttore del Programma di Giustizia Penale Internazionale di Non c’è Pace Senza Giustizia
Per maggiori informazioni, contattare Alison Smith all’indirizzo asmith@npwj.org o al +32 2 548 39 12 oppure Nicola Giovannini all’indirizzo ngiovannini@npwj.org o al +32 2 548 3915.