Bruxelles – Roma, 8 aprile 2016
Domenica 10 aprile 2016, l’istanza rivista presentata dal Sig. Motiur Rahman Nizami contro la sua condanna a morte è tenuta ad essere ascoltata, a seguito di un rinvio di una settimana, davanti alla divisione d’Appello del Bangladesh della Corte Suprema. Questa è l’ultima fase del processo legale in appello contro la sua esecuzione, senza contare il tentativo di ottenere una grazia presidenziale. Il 24 ottobre 2014, il sig. Nizami, leader del partito di opposizione Jamaat-e-islami, è stato condannato a morte dal Tribunale penale internazionale (TPI) del Bangladesh con l’accusa di pianificazione, ordinazione e commissione di omicidi e stupri, tra gli altri gravi reati presumibilmente commessi durante la guerra di indipendenza del 1971.
L’8 marzo 2016, la Corte Suprema ha anche confermato la condanna a morte contro il sig. Quasem Ali, altro leader Jamaat-e-Islami. Il sig. Quasem Ali è stato condannato a morte nel novembre 2014 dallo stesso tribunale.
Sino ad oggi, il TPI ha emesso almeno 17 verdetti, di cui la maggior parte sono condanne a morte. Tra le persone processate e condannate, 10 sono leader chiave della Jamat-e-Islami. Di questi. 4 dei leader hanno già subito la loro pena.
Dichiarazione di Alison Smith, Consulente legale di Non c’è Pace senza Giustizia:
“Non c’è Pace senza Giustizia (NPSG) e il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito (PRNTT) sono profondamente preoccupati per le ultime condanne a morte pronunciate nei confronti di due dirigenti chiave del Jamat-e-Islami da parte del Tribunale pensale internazionale del Bangladesh.
“Continuiamo a deplorare che, come in precedenti processi antecedenti al TPI, i procedimenti giudiziari che hanno portato a questi verdetti sono stati segnati da gravi violazioni dei diritti del giusto processo e degli standard internazionali dell’equo processo. Tra le principali violazioni vi sono l’evidente disuguaglianza di armi tra la difesa e l’accusa, le pressioni intollerabili da parte del pubblico ministero nei confronti dei testimoni, e una relativa mancanza di prove a sostegno delle accuse e delle responsabilità penali individuali di entrambi i detenuti (anche durante gli appelli antecedenti alla Corte suprema del Bangladesh).
“Questi ultimi giudizi confermano ulteriormente l’incapacità e la riluttanza del Tribunale penale internazionale (TPI) e del sistema giudiziario del Bangladesh, in generale nell’applicare gli standard internazionali che garantiscono di sottoporre i crimini alla legge internazionale e di rendere credibile e legittima la responsabilità per atrocità di massa commesse nel nono mese del conflitto del 1971, dal quale il Bangladesh è emerso traumaticamente come uno Stato indipendente sino ad oggi.
“Prendendo di mira con le sue indagini l’attuale leadership dei partiti politici di opposizione per il loro ruolo nel conflitto e consentendo la pena di morte nei confronti di molti individui sotto processo precedentemente, il TPI ha inevitabilmente rafforzato la percezione che i suoi procedimenti vengono utilizzati per servire gli interessi politici piuttosto che a garantire giustizia alle vittime e affrontare i crimini del passato. Il Bangladesh Ignorando costantemente le legittime diffuse preoccupazioni e le persistenti richieste di riforma da parte della comunità internazionale, comprese decisioni ufficiali da parte degli organi delle Nazioni Unite, aggiunge solo carburante a queste rivendicazioni.
“Il Bangladesh non può continuare a chiudere un occhio davanti queste preoccupazioni e rivendicazioni. Chiediamo al governo del Bangladesh di istituire una moratoria immediata sulla pena di morte emessa nei confronti del sig. Nizami e del sig. Quasem Ali come di altri condannati dal TPI e di attuare la promessa fatta di una vera giustizia per le vittime, fatta al momento della ratifica dello statuto di Roma della Corte Penale Internazionale cinque anni fa.
“Ci aspettiamo che la Comunità internazionale adotti concrete misure in grado di garantire che il Bangladesh si confermi ai diritti umani internazionali e agli altri doveri del trattato. Questo include l’abolizione immediata e categorica della pena di morte per le persone accusate dal TPI e l’applicazione integrale di tutte le garanzie del giusto processo, secondo i più alti standard internazionali. Se il TPI continua ad essere utilizzato per perseguire interessi limitati di parte, avrà solo l’effetto di creare ulteriore violenza e di ostacolare le possibilità di una significativa riconciliazione che la popolazione del Bangladesh merita”.
Per maggiori informazioni, contattare Alison Smith, asmithpwj.org (+32-2-548 39 12) oppure Nicola Giovannini, ngiovannninipwj.org (+32-2-548-3915).