Dopo le elezioni, quale futuro si prospetta per la giustizia di transizione in Libia?

25 Lug, 2012 | Comunicati Stampa

Elizabeth Evenson*, Bruxelles-Tripoli, 25 luglio 2012

Il 7 luglio 2012, la folla festante nelle strade di Tripoli ha segnato lo svolgimento in Libia delle prime elezioni parlamentari dopo più di quarant’anni. Circa 3.700 candidati erano in competizione elettorale per i 200 seggi del Congresso Generale Nazionale. Mentre i risultati finali non sono ancora noti e le proiezioni sono state interrotte dalla violenza in diverse aree, gli osservatori hanno largamente salutato le elezioni – tenutesi a meno di un anno di distanza dopo la rivoluzione che ha portato alla fine della ultra decennale dittatura di Muammar Gheddafi – come un risultato notevole.

Le elezioni sono senza dubbio un passo importante per la transizione della Libia verso la democrazia. Inoltre, hanno sollevato anche le speranze di migliorare la situazione della sicurezza del Paese. Tensioni crescenti sono state, infatti, registrate nelle ultime settimane da alcuni osservatori, dovute, in parte, all’incapacità del Governo ad interim di controllare le brigate armate, che cercano di affermarsi politicamente e guadagnare terreno. Un nuovo Governo centrale, con mandato popolare, potrebbe migliorare la situazione. Per fare in modo che le brigate non attuino ulteriori episodi di violenza, sarà, tuttavia necessario che il nuovo Governo – nominato dal Congresso Nazionale Generale – sia in grado di attuare un programma di giustizia di transizione.

Sono tuttavia stati compiuti solo progressi frammentari per stabilire le responsabilità per i crimini commessi durante l’era di Gheddafi e il periodo rivoluzionario. Il processo del capo dell’organizzazione di sicurezza esterna di Gheddafi, Omar Abu Zaid Dorda – il primo caso contro un anziano ufficiale dell’era di Gheddafi sottoposto a processo – è stato rinviato per ben tre volte per consentire alla difesa di avere più tempo per prepararsi. D’altra parte una legge sulla giustizia di transizione, emanata dal Consiglio Nazionale provvisorio di Transizione (National Transitional Council – NTC), che prevedeva sia la creazione di una commissione di riconciliazione ed accertamento dei fatti, sia un fondo di indennizzo per le vittime, è rimasta lettera morta. Non è ancora chiaro se questa legge verrà adottata o abrogata quando il nuovo Governo andrà al potere.

Lo stesso vale per due provvedimenti di amnistia approvati dal Governo ad interim. Uno prevede l’amnistia per alcuni reati (escludendone altri, tra cui la tortura e lo stupro) commessi prima dell’approvazione della legge e l’altro fornisce amnistia per tutte “le azioni militari, di sicurezza o civili, rese necessarie dalla rivoluzione del 17 febbraio ed intraprese dai rivoluzionari per garantire il successo o la protezione della rivoluzione stessa”. Quest’ultima previsione è forse particolarmente preoccupante data l’entità delle violazioni dei diritti umani che sono ancora in corso in Libia, tra cui, come verrà descritto in seguito, le torture effettuate dalle milizie nel gestire le strutture di detenzione. Considerato che queste leggi di amnistia si applicano a reati disciplinati dal diritto internazionale, tra cui la tortura, le sparizioni forzate, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra, esse finiscono di fatto per violare gli obblighi internazionali della Libia.
Del resto, non sorprendono i limitati progressi compiuti. La rivoluzione del 17 febbraio è scaturita dal desiderio di giustizia – in particolare per i crimini del periodo di dittatura di Gheddafi, come quello nel carcere di Abu Salim nel 1996, in cui furono massacrati 1200 prigionieri e i loro corpi vennero nascosti. Ma ci vorrà del tempo per concepire, attuare e compiere un fitto programma di giustizia di transizione, combinando i procedimenti penali con la ricerca della verità e le relative misure riparatrici.

Alcune delle sfide più immediate sono costituite da quello che succederà dopo, con le brigate armate. Nel marzo del 2012, le Nazioni Unite hanno stimato che siano rimasti in custodia delle brigate armate tra i 5,000-6,000 dei cosiddetti “prigionieri relativi al conflitto”, mentre altri 2,400 individui sono in custodia dello Stato. Le milizie non hanno alcuna autorità, ai sensi del diritto libico, di trattenere delle persone e la tortura in strutture gestite dalle milizie è stata ampiamente documentata da Human Rights Watch, Amnesty International e altri. Secondo Human Rights Watch, la popolazione detenuta è costituita da membri delle forze di sicurezza di Gheddafi, ex funzionari del Governo dell’ex regime, sospetti fedelissimi del rais, sospetti mercenari stranieri o migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana. Mentre alcuni di questi individui sono sospettati per reati gravi, non è chiaro quanti prigionieri abbiano avuto accesso ad un procedimento giudiziario per esaminare il lor stato di detenzione.

Saif al-Islam Gheddafi è uno dei prigionieri a più alto profilo tra coloro che sono attualmente detenuti. Sebbene Saif al-Islam Gheddafi sia detenuto dalla milizia di Zintan nella Libia occidentale, il Governo sostiene che la sua detenzione sia stata autorizzata dal Procuratore Generale libico e sia soggetta a supervisione giuridica. Saif al-Islam Gheddafi ha a proprio carico anche un mandato di cattura da parte della Corte Penale Internazionale (CPI) per aver compiuto crimini contro l’umanità e i giudici della CPI stanno attualmente analizzando la petizione della Libia per riassumere la propria giurisdizione sul caso di Saif al-Islam Gheddafi e giudicarlo in patria. Se le autorità libiche saranno in grado di dimostrare che sono capaci e disposte ad attuare il processo, la Corte potrà deferire il caso, secondo quello che è noto come principio di “complementarità”.

Il caso Dorda sarebbe potuto essere un potenziale test della capacità del sistema libico di promuovere una giustizia equa per reati gravi, ma esso non inizierà prima del 28 agosto 2012. Un’ulteriore battuta d’arresto, rispetto agli sforzi dei libici per giudicare Saif al-Islam Gheddafi in Libia, è costituita dall’arresto, da parte della milizia Zintan, di quattro mebri della CPI, in visita ufficiale nel Paese, compreso il suo avvocato della difesa nominato dalla Corte. Tale detenzione ha violato l’immunità a cui hanno diritto i quattro sulla base del mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha deferito il caso alla Corte Penale Internazionale. Il loro rilascio è stato ottenuto solo dopo un mese di trattative tra la milizia Zintan, le autorità centrali libiche, la CPI e la comunità internazionale; ciò riflette la debole posizione delle autorità centrali nei confronti della milizia e solleva seri dubbi sul fatto che Saif al -Islam Gheddafi possa essere efficacemente processato in Libia.

Il Governo ha compiuto alcuni sforzi per porre fine alla detenzione illegale. All’inizio di maggio, una legge approvata dal Consiglio Nazionale di Transizione ha dato sessanta giorni di tempo ai Ministri dell’Interno e della Difesa per sottoporre alle autorità giudiziarie i detenuti in custodia delle milizie, nei cui confronti vi sono elementi sufficienti che provano il loro sostegno all’ex-regime. Sono stati istituiti comitati di controllo per verificare lo stato di ciascun detenuto. Ma secondo Human Rights Watch, questa legge ha avuto finora un impatto limitato sul trasferimento effettivo dei detenuti. Se le elezioni potessero fornire una partecipazione maggiore alle milizie o aumentare la fiducia nel Governo nazionale, potrebbero anche aumentare le probabilità che queste rilascino i detenuti, alcuni dei quali sono serviti loro come merce di scambio nella fase politica primordiale di questo periodo di transizione.

Se e quando avverranno i trasferimenti, il Governo dovrà ancora affrontare il difficile compito di decidere o meno di perseguire gli individui; questo richiederà una solida strategia della pubblica accusa per scandire la priorità dei casi e assicurare l’immediato rilascio delle persone contro cui non ci siano prove sufficienti. Tra coloro che ora sono in custodia potrebbero esserci alcuni responsabili di gravi crimini commessi nel corso dell’era di Gheddafi, ma, affinché le persone più responsabili di questi crimini rendano effettivamente conto delle loro responsabilità, sarà anche necessario svolgere un’attenta analisi dei reati, pianificare le indagini e identificare i sospetti, compresi coloro che siano eventualmente fuggiti all’estero. Resta da stabilire se il neo-Governo metterà finalmente in atto una strategia volta ad agire sulle denunce per gravi abusi dei diritti umani da parte delle brigate armate.

La formazione fornita da Non c’è Pace Senza Giustizia alle autorità di Governo circa l’accertamento e il perseguimento di reati gravi – a cominciare da un seminario per pubblici ministeri tenutosi a maggio 2012 – aiuterà il Governo a porre in atto queste strategie. Il progetto aiuterà inoltre a rafforzare le capacità della società civile a documentare le violazioni dei diritti umani – che possono contribuire a consolidare le fonti già esistenti di conflitto – e a fornire una mappatura di base dei crmini commessi, a beneficio di indagini e azioni penali. Ma il primo passo necessario è porre fine alle detenzioni illegali.

Allo stesso tempo, una maggiore attenzione su tali procedimenti non dovrebbe escludere il dibattito sugli altri processi di giustizia transitoria. L’ammissione delle verità, uno schema funzionale per attuare riparazioni e la commemorazione degli eventi, così come gli sforzi per rafforzare il ruolo della vittima nel procedimento penale potrebbero, ad esempio, andare di pari passo con le indagini e la raccolta delle prove. Alla riunione inaugurale, tenutasi nel mese di aprile 2012, il comitato direttivo informale del progetto di NPSG in Libia ha deciso di avviare la pianificazione per una consultazione nazionale sulla giustizia di transizione. Questa consultazione permetterà ai libici di esprimere le loro opinioni e di configurare il futuro Governo e le azioni della società civile volte a mettere in atto misure adeguate per garantire la giustizia a sostegno della fase ulteriore di transizione della Libia verso la democrazia.

*Elizabeth Evenson ha chiesto un distaccamento temporaneo da Human Rights Watch per collaborare  con Non c’è Pace Senza Giustizia nell’ambito del programma sulla giustizia di transizione in Libia.