Il Tribunale del Bangladesh per i Crimini Internazionali: processi ingiusti e pena di morte non portano giustizia

18 Lug, 2013 | Comunicati Stampa

Bruxelles- Roma, 18 luglio 2013

 

Il 17 luglio 2013, il Tribunale per i Crimini Internazionali , creato nel 2009 per indagare e perseguire i crimini commessi nella Guerra di Liberazione del Bangladesh del 1971, ha inflitto la pena di morte ad Ali Ahsan Mohammad Mujaheed, un importante membro del partito di opposizione Jamaat-e-Islami, per accuse che includevano rapimento e omicidio. Il giudizio è solo l’ultimo di una serie che vede pene che vanno dall’ergastolo alla pena di morte, e che hanno colpito principalmente i leader del partito politico Jamaat-e-Islami. Queste decisioni hanno causato un’ondata di violenza nel paese, in risposta alle quali il governo ha schierato l’esercito.

Dichiarazione di Alison Smith, Consigliere Legale di Non c’è Pace Senza Giustizia:

“Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) e il Partito Radicale Non Violento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT) sono ancora molto preoccupati per i continui fallimenti del Tribunale per i Crimini Internazionali (International Crimes Tribunal – ICT) nella sua azione per rispondere alal richiesta di giustizia per le atrocità commesse durante il conflitto del 1971, che ha portato il paese all’indipendenza e che ancora oggi fa sentire le sue conseguenze.

“Il ICT avrebbe potuto dare una storica opportunità storica per affrontare il capitolo tragico della guerra e permettere al paese di muoversi verso un futuro libero dalla pesante eredità contraddistinta dall’impunità. Invece, il ICT ha espressamente escluso qualsivoglia indagine sugli ufficiali dell’esercito pakistano, che sono largamente riconosciuti come i maggiori responsabili per i crimini commessi. Piuttosto esso ha concentrato le indagini sugli attuali leader dei partiti di opposizione per il ruolo da essi svolto durante il conflitto. Come se ciò non bastasse, il ICT ha inflitto la pena di morte a diversi individui da esso giudicati. Di conseguenza, il ICT, anziché portare giustizia, ha rinforzato l’opinione di quanti credono che la sua attività sia un esercizio giuridico di vendetta nascosto da lotta all’impunità.

“Questi problemi devono essere visti alla luce della perdurante esclusione del diritto al giusto processo e alle garanzie, incluse la protezione e la difesa di testimoni, potenziali testimoni e avvocati, da intidimazioni e molestie, così come la piena applicazione della presunzione di innocenza, nonostante la persistente domanda della comunità legale internazionale di assicurare che il diritto al giusto processo sia rispettato. Tutto ciò porta ulteriore discredito a questo Tribunale, che dimostra la sua inabilità e la sua mancanza di volontà di condurre procedimenti giusti e trasparenti in linea con gli standard internazionali.

“Sembra ora che il peggior scenario possibile si sia infine realizzato, o stia per esserlo: il ICT sta contribuendo a trasformare in eroi quanti avrebbe dovuto invece punire, e sta distruggendo le speranze di ottenere il riconoscimento delle proprie sofferenze da parte delle vittime. È  necessaria una ferma risposta della comuninità internazionale, incluso il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite e le cosidette Special Procedures, per assicurare che il Bangladesh rispetti i diritti umani internazionalmente riconosciuti ed i suoi obblighi convenzionali, così dal prevenire il fallimento finale del Tribunale per i Crimini Internazionali nel portare giustizia e riconciliazione in Bangladesh.”

Per maggiori informazioni è possibile contattare Alison Smith tramite e-mail, asmith@npwj.org, o al +32-2-548 39 12 oppure Nicola Giovannini, ngiovannini@npwj.org o +32-2-548-3915.