Intervista: La messa al bando universale, un altro strumento per combattere le MGF

4 Gen, 2013 | Comunicati Stampa

Julia Kallas intervista ALVILDA JABLONKO, Inter Press Service (IPS), 4 gennaio 2013

Nazioni Unite, 3 gennaio 2013- per i circa 140 milioni di donne e ragazze che vivono sulla loro pelle le conseguenze di mutilazioni genitali femminili (MGF) subite da bambine è ormai troppo tardi. Ma dal momento che una risoluzione per la messa al bando universale di tale pratica è stata approvata alla fine dello scorso anno,  gli attivisti sperano, che nel futuro, un numero maggiore di donne e bambine possano sfuggire da questa pratica brutale.

Alvilda Jablonko, coordinatrice del programma contro le Mutilazioni Genitali Femminili  di Non C’è Pace Senza Giustizia,dal 2010 si batteper l’approvazione di questo documento da parte dell’Assemblea Generale delle Nazione Unite. L’adozione è avvenuta il 20 dicembre 2012.
“E’ un nuovo capitolo, è un nuovo strumento”, Jablonko  dichiara a IPS  “(ma)  è solo uno strumento e la sua efficacia dipenderà  dall’uso che ne verrà fatto”.

Julia Kallas, corrispondente di IPS, intervista Jablonko sull’impatto che il bando avrà a livello locale. Qui di seguito un estratto dell’intervista.

D: Quali sono stati i principali ostacoli nei quali ti sei imbattuta nel promuovere  l’adozione di una messa al bando universale delle MGF?
R: Credo che l’adozione della risoluzione alle Nazioni Unite sia, sicuramente, la conseguenza della battaglia combattuta da parte degli stati che sono più toccati da questo problema. Così, il Burkina Faso è stato uno dei paesi leaders nella lotta a livello nazionale contro le MGF e che ora possono davvero prendere il comando in questa battaglia. Questi paesi hanno lavorato a fianco delle ONG sul campo e anche con coalizioni di ONG. Il loro operato, naturalmente, è stato orientato ad incoraggiare i loro governi ad adottare azioni a livello nazionale.

D: Quale è stato il ruolo principale giocato da Non C’è Pace Senza Giustizia in questa battaglia?
R: Non C’è Pace Senza Giustizia ha lavorato per 10 anni su questo tema. NPSG è un’organizzazione fondata da Emma Bonino, ex Commissario Europeo per le questioni umanitarie e attuale Vice Presidente del Senato Italiano, la quale, da sempre,  è stata in prima linea nella lotta per i diritti delle donne a livello globale.
Non c’è Pace Senza Giustizia si è unita a numerose organizzazioni, prevalentemente Africane, che già da decenni stanno combattendo contro questa pratica. In particolare, in collaborazione con numerosi attivisti sul campo, NPSG ha concentrato il suo operato verso i governi, spingendoli ad assumersi le proprie responsabilità, senza lasciare che tutto il lavoro fosse fatto dagli attivisti stessi.

D: Quale è il prossimo passo?
R: Adesso che la risoluzione è stata approvata, il prossimo passo è quello di garantire che essa venga applicata anche a livello locale. Molti stati si stanno già muovendo in questo senso, ma resta l’esigenza di garantire un’armonizzazione nella legislazione sia a livello regionale che sub-regionale. Nei paesi situati sulle linee di frontiera, ad esempio, quando ci sono leggi che vietano la pratica in uno ma non nell’altro, le donne vengono fatte passare il confine per essere assoggettate a questa pratica senza andare contro la legge.
Speriamo quindi che questa risolusione possa spingere gli stati a prende più a cuore la questione e ad investire maggiori risorse per offrire una risposta più efficace a questo problema.
 
D: Quale impatto produrrà la risoluzione a livello locale?
R: Credo un grande impatto. In primo luogo poiché sono stati gli attivisti ad aver spinto i governi ad attivarsi a  livello di Nazioni Unite. Questi attivisti hanno ottenuto qualche cosa di incredibile e non si fermeranno, in quanto rafforzati e vitalizzati da questo risultato. Essi torneranno presso le loro comunità, governi e parlamenti a chiedere di dare attuazione concreta a tale documento. Su questo punto, un esempio importante ci è offerto da un memebro del parlamento kenyota, l’On. Linah Jebii, che ha fatto approvare in  Kenya una legge che mette al bando le MGF. Kilimo sostiene che nel suo caso specifico, l’adozione di un bando internazionale è una legittimazione importante di ciò che è stato fatto a livello nazionale.
Il nostro lavoro è stato aiutato, a livello globale, da tutti gli attivisti che operano in questo settore. La risoluzione fu realmente guidata da Kilimo. E come ho detto prima, poiché gli attivisti sono stati così capaci di combattere le FGM a casa propria, sono stati i capi naturali di questa battaglia. La first lady Keniota (Lucy Kibaki), è attiva su diversi fronti, tra i quali combattere le MGF, ed è stata la coordinatrice internazionale della campagna. Lei, così come altre first ladies Africane, hanno ottenuto importanti risultati, anche grazie ad una efficace azione di lobbying. Un’altra organizzazione con la quale lavoriamo è il Comitato Inter-Africano sulle pratiche tradizionali che colpiscono la salute di donne e bambini. Si tratta di un insieme di comitati, presenti in tutti i 29 stati africani, ciascuno dei quali ha esercitato un ruolo attivo a livello nazionale nello spingere il proprio paese  ad impegnarsi effettivamente su questo tema.