Libia: sostenere la transizione democratica attraverso giustizia e lotta contro l’impunità

14 Mag, 2012 | Comunicati Stampa

Michael Gibb*, Tripoli, Libia, 14 maggio 2012
Presto sarà passato un anno da quando il popolo libico si è liberato ufficialmente da 42 anni di regime dittatoriale. La transizione della Libia verso la democrazia ha ancora una lunga strada da compiere. Non c’è Pace Senza Giustizia (NPWJ), che per anni è stata a fianco degli attivisti della democrazia e dei difensori dei diritti umani in Libia, è impegnata nel fornire sostegno alla società civile e alle nascenti istituzioni governative nell’adempiere alla loro responsabilità di portare a termine la rivoluzione, mettendo fine all’eredità di Gheddafi, fatta di impunità e corruzione, attraverso un processo globale di giustizia e di definizione delle responsabilità individuali.

“Cambia il colore” si legge nei graffiti scarabocchiati sulle poche saracinesche di tripoli ancora dipinte con il colore preferito da Gheddafi, il verde. La maggior parte dei negozianti libici non aveva bisogno di tale incoraggiamento; con la loro licenza di commercio, non più subordinata ad una persiana verde, i negozi in tutta la Libia sono ora dipinti coi colori più diversi, dal blu cielo ai colori della bandiera, che ha finito per simboleggiare la loro ritrovata libertà.

Ma non tutte le tracce del dominio di Gheddafi sono facili da cancellare. Un patrimonio di ingiustizia e di impunità ha lasciato cicatrici profonde nella società libica e gran parte della transizione del Paese verso la democrazia consiste ora nella ricostruzione delle istituzioni democratiche e giudiziarie, distrutte dal precedente regime. Sforzi analoghi devono essere compiuti per ricostruire le aspettative e la fiducia dell’opinione pubblica nello Stato di diritto, nelle istituzioni dello Stato e negli altri cittadini. Come molti dittatori, Gheddafi ha fondato e accresciuto il suo potere sul senso di sfiducia e sul timore. Un attivista mi ha detto di non aver mai parlato di politica davanti ai suoi bambini per paura che avrebbero potuto ripetere ciò che avevano sentito a scuola, dove un insegnante o un genitore poteva essere molto spesso uno delle migliaia di informatori segreti, che permettevano di tenere in linea aspiranti dissidenti politici.

Il processo di giustizia transitoria in Libia occupa un ruolo centrale nel facilitare questa trasformazione della società libica. Tale processo è sulla buona strada, con una legge sulla giustizia transitoria che fornisce un panorama generale e una vibrante, seppur giovane, società civile che è già al lavoro per documentare gli abusi del passato e del presente e per fornire sostegno alle vittime e ai prigionieri

NPSG lavora in Libia, già dal settembre 2011, per sostenere il processo di giustizia transizione, con una presenza permanente dal marzo 2012. Il nostro lavoro si concentra sulla formazione e la trasmissione di competenze relative ad alcuni aspetti chiave della giustizia transitoria, compresa l’analisi della grande quantità di informazioni, che possono essere centrali per perseguire gli autori dei crimini più gravi, come Saif al-Islam e Abdullah Senussi. NPSG sta lavorando anche per facilitare un programma nazionale di sensibilizzazione che impegni con successo tutti i libici in una discussione circa le loro aspettative sulla giustizia transitoria.

Non è necessario trascorerre molto tempo in Libia per identificare quali siano le sfide più rilevanti di questo genere di lavoro. A differenza di alcuni altri Paesi della “Primavera araba”, la rivoluzione della Libia è stata una lunga e distruttiva guerra civile. Le infrastrutture del Paese sono ancora danneggiate dal conflitto, così come da decenni di incuria, di corruzione e cattiva gestione. In città come Tripoli e Bengasi si innalzano pennacchi di fumo dai mucchietti improvvisati di spazzatura, che continuano a crescere lungo le strade della città e in lotti vacanti; i semafori restano spenti, non contribuendo, così, a far perdere al Paese il record per il più alto tasso di incidenti automobilistici nella regione MENA; le nuove schede SIM e i collegamenti ad Internet restano difficili da trovare al di fuori dei grandi alberghi. Stime recenti suggeriscono che ci sono circa 20 milioni di armi in Libia – più di tre per ognuno dei sei milioni di cittadini del Paese. Spari di pistola scandiscono ancora la maggior parte delle notti negli insediamenti cittadini che si affacciano sul litorale mediterraneo. Sono principalmente rivolti verso l’alto del cielo notturno, che siano per celebrazioni o per la noia, ma gli eventi recenti evidenziano la necessità di una smobilitazione e di un completo disarmo. La scorsa settimana, tornando da Misurata, abbiamo ricevuto numerose chiamate che ci avvertivano di proteste dirompenti lungo il nostro percorso abituale attraverso Tripoli. Quella che era iniziata come una protesta pacifica davanti all’ufficio del Primo Ministro per i pagamenti a coloro che avevano combattuto nella rivoluzione, si è trasformata ben presto in violenza, uccidendo una guardia di sicurezza, non appena è stata estratta una pistola e la situazione di stallo si è aggravata.

È in città come Misurata, tuttavia, che i costi della rivoluzione della Libia sono più visibili. Abbimao incontrato una delle principali organizzazioni della nuova società civile al piano terra di una costruzione fatiscente e gravemente danneggiata di un vicolo largo di Tripoli Street, dove si è concentrata gran parte del conflitto. Non sono riuscito a vedere un singolo edificio senza i segni di granate, mortai e proiettili che sono stati sparati indiscriminatamente per mesi, mentre la città assediata cercava di resistere contro le forze di Gheddafi.

Via Tripoli testimonia anche il costo umano e sociale della rivoluzione, un costo che non è immediatamente evidente come il danno fisico.

Dietro la statua raffigurante un pugno teso verso il cielo che frantuma un jet della NATO nelle sue mani nude – simbolo spettacolare e ironicamente riproposto dalle brigate di Misurata, che lo hanno portato come un trofeo dal compund di Gheddafi Bab al-Azizia subito dopo che la città era caduta – si erge un non ben definito edificio di cemento. All’interno, le pareti sono coperte con le immagini di migliaia di giovani. Tutti sono morti o ancora dispersi. Molti sono morti durante la rivoluzione, ma molte immagini sono chiaramente più vecchie che raffigurano i volti di vittime uccise molto tempo prima, tanti in prigioni tristemente note, come Abu Salim. C’è anche una parete dedicata a fotografie e carte d’identità di nemici ancora in libertà, molti chiaramente del vicino villaggio di Tawergha, che si era schierato con le forze di Gheddafi, con altri anche dal sud della Libia o da uno dei vicini meridionali della Libia. Mentre alcuni sono ancora latitanti, molti altri sono attualmente detenuti in uno dei numerosi centri di detenzione non ufficiali presenti in tutta la Libia.

Entrambi i gruppi di immagini sono una rappresentazione di quelle che sono le sfide della giustizia transitoria in Libia. La Libia deve fare i conti sia con il numero di reati che hanno bisogno di indagini, alcuni dei quali risalenti ad oltre un decennio fa, sia con il numero di prigionieri attualmente in detenzione, che si trovano di fronte ad un futuro giudiziario incerto e sempre più vulnerabili davanti a ben documentati casi di tortura e vendetta.

La sfida più grande alla causa della definizione di responsabilità e ottenimento della giustizia viene, però, dalla possibilità di una progressiva erosione della necessaria volontà politica.

Nelle città libiche che ho visitato, è percepibile un’impazienza del tutto comprensibile e in crescita tra il grande pubblico. Le persone sono desiderose di tornare alla vita ordinaria e di passare dal periodo di transizione ad un nuovo periodo di democrazia. Circa due milioni di persone si sono già registrate per le elezioni di giugno, che saranno, considerate tutte le circostanze, un po’ affrettate, e brigate di cittadini come @CleanUpTripoli hanno preso l’iniziativa per affrontare il problema dei rifiuti per conto proprio, senza aspettare il governo. Ciò dimostra che le persone guardano sempre più al futuro e sono ansiose di cancellare il loro passato.

Un insieme di leggi recentemente adottate dal Consiglio Nazionale di Transizione ha come scopo proprio quello di dare una svolta decisiva al passato. Ma la Legge 38 è particolarmente preoccupante: l’articolo 4 stabilisce, in poche parole, che non ci deve essere nessuna punizione per qualsiasi atto commesso a tutela o promozione della rivoluzione del 17 febbraio, graziando in questo modo i vincitori senza alcun riguardo per la natura del crimine commesso

Se una una Libia stabile e democratica, governata dallo Stato di diritto e per la tutela dei diritti umani fondamentali è l’obiettivo finale della rivoluzione, questa legge deve essere vista come una contraddizione in termini, e come il primo test importante per la nascente comunità della giustizia transitoria in Libia, di cui Non c’è Pace Senza Giustizia è un partner orgoglioso. Come innumerevoli altre società in transizione hanno dimostrato, impunità e gratificazioni per la violenza sono una base troppo fragile su cui costruire una democrazia stabile. Probabilmente, una grande parte del lavoro di NPSG per proseguire, dovrà includere una cooperazione con il governo e la società civile per individuare e comunicare il desiderio della pubblica opinione per la responsabilità e la giustizia, come base per una società democratica nuova in Libia.

Ci sono, tuttavia, molte ragioni per essere ottimisti sul futuro processo di giustizia transitoria in Libia. La rivoluzione della Libia è stata una rivoluzione dei diritti umani sin dall’inizio. E’ stato l’arresto dell’avvocato difensore dei diritti umani, Fathi Terbil a scatenare a Bengasi la rivolta, che si è poi diffusa in tutto il Paese. I diritti umani non sono mai stati lontani dall’ordine del giorno dal momento che l’impegno libico per la giustizia e la responsabilità è particolarmente evidente nel lavoro delle migliaia di organizzazioni della società civile, che sono emerse a partire dalla rivoluzione. Uno degli aspetti più significativi del lavoro in Libia, in questo momento unico nella sua storia, è quello di poter testimoniare che la società civile sta tornando in vita si sta radicando nei salotti, nei vecchi uffici, nelle fabbriche di scarpe e nei molti negozi di caffè, dai nomi improbabili, che sono sorti lungo le strade della città. NPSG ha incontrato i rappresentanti di molte di queste nuove organizzazioni, provenienti da tutta la Libia e ci auguriamo di poter continuare ad accrescere questa di professionisti e sostenitori della giustizia transitoria, mentre si avvicina il primo anniversario della liberazione.

* Michael Gibb è attualmente di base in Libia per il progetto di NPSG sulla giustizia transitoria (NPWJ project on transitional justice)