NPSG celebra la Giornata Internazionale della Giustizia con partner in tutto il mondo

17 Lug, 2012 | Comunicati Stampa

Bruxelles-Roma, 17 luglio 2012

Oggi, 17 luglio, è la Giornata Internazionale della Giustizia: dopo molti anni di campagna portati avanti da Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) e da altri attori, questa data è stata adottata dall’Assemblea degli Stati parte della Corte Penale Internazionale (CPI) nel corso della prima Conferenza di Revisione dello Statuto di Roma, tenutasi a Kampala, in Uganda, nel giugno 2010. La Giornata Internazionale della Giustizia segna l’anniversario dell’adozione, da parte di 120 Stati nel 1998, dello Statuto di Roma, trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale (CPI), entrato in vigore il 1° luglio 2002.

Dichiarazione di Alison Smith, consigliere legale di Non c’è Pace Senza Giustizia:

“Non c’è Pace Senza Giustizia (NPSG) e il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito (PRNTT) celebrano la Giornata Internazionale della Giustizia insieme ai loro partner in tutto il mondo. In questo anniversario che celebra la nascita della CPI, attraverso l’adozione del suo Statuto, vogliamo ricordare questo momento come punto di riferimento sia nostro, che dei nostri partner e di chiunque sia coinvolto nella lotta contro l’impunità, compresa la stessa CPI.

“Dieci anni fa non esisteva nessun corpo permanente a livello internazionale con giurisdizione sui crimini di diritto internazionale: il fatto che ora vi sia una CPI, che non esisteva prima, e che ha continuato ad esistere e funzionare, nonostante l’opposizione, spesso molto forte, di alcuni, è di per sé una conquista. Le vittime e le popolazioni che hanno sofferto direttamente o indirettamente, per gravi crimini di diritto internazionale hanno ora la possibilità che venga dato riconoscimento a ciò che hanno patito, cosa impensabile fino a 10 anni addietro. Come superstiti detentori di diritti, piuttosto che come soggetti a cui fare della pietà, hanno anche un importante strumento di difesa a cui poter puntare e fare ricorso contro i loro Governi qualora responsabili, siano essi Stati parte della CPI o anche qualora non lo siano.

“Fondamentalmente, il successo della Corte non può essere misurato attraverso il numero di indagini, procedimenti giudiziari o condanne. Il successo non è legato ai numeri, ma piuttosto alla rilevanza della Corte e all’impatto che la sua giurisdizione ha a livello globale, sulle politiche nazionali, come deterrente per altri eventuali autori di violazioni e nella vita delle vittime e delle popolazioni che hanno sofferto crimini ascrivibili al diritto internazionale.

“L’impatto principale che la CPI ha avuto a livello politico globale è che adesso non è più possibile nascondere le responsabilità o perpetrare l’impunità. Ogni discussioni rispetto a situazioni in cui si stanno verificando massicce violazioni sono volte, ad un certo punto, ad eliminare l’impunità ed accertare la responsabilità, anche nei casi in cui siano forze politiche forti a commettere queste violazioni, come nel caso della Siria. Ora esiste anche un canale per quelle situazioni in cui vi sia volontà politica comune di accertare la responsabilità presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, cioè, una sorta di giurisdizione preconfezionata alla quale il Consiglio di Sicurezza può fare riferimento;dieci anni fa, invece, l’unica opzione possibile fu di creare un tribunale ad hoc, come quello per l’ex Jugoslavia o per il Ruanda.

“La Corte Penale Internazionale di per sé potrebbe non essere la risposta alla responsabilità in ogni situazione, ma la sua stessa esistenza come minaccia, promessa e corte di ultima istanza, ha creato l’aspettativa che né il silenzio né l’inazione, di fronte alle atrocità, possono essere opzioni praticabili. La CPI si configura, quindi, come deterrente per aspiranti autori di crimini contro l’umanità; il suo uso come strumento tra gli attori politici e da parte della società civile, ha frenato la violenza, anche qualora il suo coinvolgimento non fosse diretto. Il sostegno alla Corte Penale Internazionale, e la definizione delle responsabilità in generale, sono diventati gli elementi indicativi in base ai quali le popolazioni misurano le piattaforme politiche dei loro leader e rappresentanti.

“Per mantenere e rafforzare la propria rilevanza e il proprio impatto, la Corte Penale Internazionale deve avere le forze necessarie: deve essere, cioè, sufficientemente finanziata e sostenuta e altrettanto efficace ed efficiente, affinché costituisca una minaccia reale e non semplicemente una minaccia potenziale. Per dare le forze necessarie alla CPI, affinché la promessa di giustizia venga rispettata, tutti gli Stati devono rispettare gli obblighi previsti dallo Statuto di Roma e cooperare pienamente con la CPI, assicurando, in particolare, il rispetto di tutti i mandati di cattura emessi, ma che sono ancora in sospeso. Non possiamo – e non dobbiamo – dimenticare che sono ancora molti i latitanti: il loro arresto e il loro pronto trasferimento per essere processati è il minimo che le loro vittime si meritino. Tutti gli Stati devono assicurare che non vi sarà alcun rifugio sicuro, in qualsiasi parte del mondo, in cui presunti criminali di guerra possono nascondersi.

“Sicuramente, l’effetto deterrente della Corte Penale Internazionale si rafforza attraverso la strategia della Procura di concentrarsi su coloro che hanno la maggiore responsabilità per i crimini nel loro complesso. Questa strategia ha l’ulteriore vantaggio di determinare il livello di responsabilità, relativamente a violazioni come l’ideazione e la pianificazione, evitando l’immissione di responsabilità collettiva su interi gruppi, compresi i gruppi etnici e razziali. La CPI ha anche contribuito a rafforzare l’idea che questo particolare tipo di azioni sono crmini per cui gli individui devono essere ritenuti responsabili, soprattutto se sono rivolte contro coloro che lottano per sentire la propria voce, come le donne, i bambini e i giovani. Molto altro potrebbe essere fatto in questo senso, attraverso la commissione di una pena che sia rappresentativa dei crmini che le persone hanno subito, pur mantenendo un focus sui crimini di genere e sui crimini contro i bambini, che storicamente sono stati trascurati.

“Per i prossimi dieci anni, la CPI non deve dimenticare che le sfide principali che essa si trova ad affrontare sono volte a rafforzare il proprio impatto sulle persone, attraverso la pubblicizzazione del lavoro che sta conducendo (outreach), ed aumentando la propria presenza sul campo: in questi due ambiti importanti progressi sono stati compiuti, ma essi rimangono del tutto inadeguati rispetto alle richieste della Corte Penale Internazionale e alle potenzialità che essa può avere. Il successo della missione della CPI dipende essenzialmente dalla sua capacità di fornire un senso di giustizia e di responsabilità nei confronti dei suoi destinatari primari, cioè le vittime dei crimini per i quali indaga e ne persegue gli autori. Questi sforzi avranno un impatto enorme nei prossimi anni circa la capacità della CPI di garantire un lascito positivo e duraturo, nei Paesi in cui opera e nel modo in cui essa viene percepita, ripristinando la fiducia nel ruolo e nelle istituzioni di diritto e costruendo una pace sostenibile.

“Per comprendere quali siano i successi e le sfide della CPI, dobbiamo tenere a mente “l’obiettivo finale”: il sogno utopico per la CPI è che non vi saranno mai più altri casi, o perché le violazioni saranno intanto cessate definitivamente o, perché più probabilmente, i casi di violazione, di cui si occupa oggi la CPI, verranno gestiti dagli Stati, i quali hanno la responsabilità primaria di indagare e, se dove occorra, punire crimini di diritto internazionale.”

Per ulteriori informazioni, contattare Alison Smith asmith@npwj.org o +32-2-548-3912 o Nicola Giovannini ngiovannini@npwj.org o +32-2-548-3915.