Perché la comunità internazionale non dovrebbe giocare la carta dei soldi con Assad

14 Apr, 2017 | Comunicati Stampa

Opinione di Steven Dixon e Rami Nakhla*, Los Angeles Times, 14 aprile 2017

 

 

La mattina del 4 aprile, il governo del president siriano Bashar Al Assad ha ordinato un attacco con armi chimiche sulla città di Khan Sheikhoun nella provincia di Idlib controllata dai ribelli. Almeno 70 abitanti sono rimasti uccisi e altri centinaia sono state feriti, poiché l’agente chimico, quasi sicuramente Sarin ha indotto le vittime ad un agonizzante soffocamento.

Sempre il 4 aprile, i leader mondiali si sono riuniti a Bruxelles per il secondo giorno della conferenza annuale sulla Siria, indetta dall’Unione Europea e giunta quest’anno alla sua quinta istanza, occasione per decine di paesi di impegnarsi a fornire miliardi in aiuti per le vittime del conflitto in Siria.

In precedenza, questi stanziamenti decisi alla conferenza dei donatori erano destinati quasi esclusivamente all’aiuto umanitario. Tuttavia, quest’anno per la prima volta, il tema della ricostruzione è apparso nell’agenda. L’assistenza alla ricostruzione è un obiettivo distinto dall’aiuto umanitario, in quanto sarebbe incanalato negli sforzi per stabilizzare la Siria – come la ricostruzione di infrastrutture e per lo sviluppo economico, ad esempio. È un obiettivo distinto anche in ragione del fatto che significherebbe dover scendere a patti con Assad.

Nonostante la vaghezza delle discussioni alla conferenza dei donatori – ogni paese è libero di allocare le proprie finanze come preferisce – lo scarto verso la ricostruzione avvenuto nel dibattito, seppur discreto, ha conseguenze gravi.
Infatti, finora la posizione ufficiale dell’UE e dei paesi donator era quella che ogni assistenza alla ricostruzione fosse condizionata da un sincero impegno alla transizione politica.

La comparsa recente della prospettiva all’assistenza alla ricostruzione, prima di aver realizzato un qualsiasi progresso concreto, segnala che la comunità internazionale si sta mobilitando verso una nuova strategia per risolvere il conflitto in Siria: la cosiddetta carta dei soldi.

Più semplicemente, la strategia consiste nell’usare i fondi per la ricostruzione per incentivare Assad verso la transizione, questo per ovviare all’impotenza dell’Occidente nei tentativi di far cessare il conflitto in Siria. I cessate il fuoco sono stati periodicamente violati e i negoziati di pace hanno raggiunto la loro sesta fase senza nemmeno riuscire a far entrare Assad e l’opposizione nella stessa stanza. All’orizzonte non si profilano né una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU né la comparizione del caso davanti alle corti internazionali, anche grazie alla Russia nella quale Assad ha un alleato potente.

Secondo l’opinione corrente, l’offerta di ricostruire potrebbe fungere da leva su Assad: se cessi le atrocità, rispetti I cessate il fuoco e dai accesso alle agenzie umanitarie e ti impegni in una transizione, allora pagheremo.
Tuttavia questa logica è fallace, per quanto la carta dei soldi sia rappresentata come un mezzo altruistico per mitigare le sofferenze del popolo siriano, glissa sul fatto che l’ostinazione di Assad nel rimanere al potere è la scaturigine delle sofferenze del popolo siriano. Infatti, offrire assistenza ad Assad mentre si esclude l’opposizione dall’equazione finirebbe solo per legittimare il regime e consolidare la posizione di Assad.

I sostenitori della strategia della carta dei soldi ne elogiano il pragmatismo – che per quanto di cattivo gusto è forse necessario per la legittimità dei fini- ma anche secondo questo approccio la logica è fallace: L’assistenza finanziaria creerà un sistema perverso di incentivi e rischia di esacerbare i problemi.

Se l’aiuto alla ricostruzione è concesso al regime in cambio di aiuti umanitari e rispetto della tregua, cosa succede se – o forse quando- Assad avverte l’opportunità di colpire l’opposizione e decide di rinnegare l’accordo? Il finanziamento può essere anche trattenuto fino alla rinegoziazione del cessate il fuoco, ma il ciclo potrebbe continuare all’infinito. Offrendo assistenza alla ricostruzione al regime, la comunità internazionale consegnerebbe ad Assad la stessa leva che vuole usare su di lui.
Consideriamo però un secondo scenario, nel quale il regime rispetta il cessate il fuoco ma ostacola l’accesso agli aiuti. Mentre la comunità internazionale potrebbe minacciare di sospendere l’assistenza se l’accesso non è garantito, Assad potrebbe minacciare di violare il cessate il fuoco se il finanziamento non è garantito.

Come dimostra l’attacco chimico di questo mese, questi scenari non sono così lunari. Dopotutto, il regime ha sostenuto di aver smantellato il suo arsenale chimico dopo un attacco simile già nel 2013. Se le promesse sono infrante mentre l’aiuto alla ricostruzione è in corso, la comunità internazionale si troverebbe complice, anche se marginalmente, in quelle che sarebbero altrimenti state le azioni indipendenti di un dittatore.

L’obiettivo finale della carta dei soldi sarebbe quella di persuadere Assad in buona fede e eventualmente ad una transizione politica. Perché questa funzioni, però, Assad deve credere al valore della promessa della ricostruzione mentre le sue azioni mostrano che chiaramente non è così.

Steven Joe Dixon é assistente per il progetto Siria e Rami Nakhla coordinatore del progetto Siria di Non c’è Pace Senza Giustizia.