Una vita di lotte giuste. Per l’aborto e l’autanasia. Contro la pena di morte. Per fermare le emergenze umanitarie. Senza mai pensare a sé stessa.
Ha combattuto per donne e derelitti, digiunato per l’Africa e la fame nel mondo, per la libertà di diritti e valori, predicatrice del dialogo interlaico non solo interreligioso, mai con una visione ombelicale, direbbe lei, ma proiettata geopoliticamente in lungo e in largo. Non si è risparmiata nessuna battaglia. Né per le donne africane, né per sconfiggere il suo tumore ai polmoni.
Ammirata, criticata a volte per veemenza e sensazionalismo, una delle poche politiche note all’estero, è stata deputata nazionale e anche transnazionale come il suo partito radicale, commissaria in Europa e vice presidente del Senato italiano. In un’elezione l’ha accolta Silvio Berlusconi. In un’altra il Pd. Nel 2013 i grillini – «mai incontrati» dice – l’hanno inserita nella rosa di nomi per il Colle. Unica a essere considerata davvero quirinabile, arrestata sia dai talebani sia dagli americani in nome di principi e proposte, Bonino da Bra, classe 1948, è la Emma di tutti.
Persino di un gesuita illuminato e pragmatico come papa Bergoglio che nello svenimento di fedeli e devoti, dopo averla consultata su migranti e rifugiati ha definito lei – abortista, paladina del divorzio, pro liberalizzazione delle droghe e del testamento biologico – una «grande dell’Italia di oggi». Radicale e papale perfino, Emma rappresenta tutto quello che abbiamo affrontato quest’anno e dobbiamo ancora affrontare.
Come la fine di un anno che si chiude con un successo impensabile e una crisi di governo. Oltre il 70 per cento di partecipazione al referendum, da tempo considerato arma spuntata, da sempre cellula staminale della politica dei radicali. Il risultato ha stupito tutti, lei non tanto: «Quando la decisione è tra bianco e nero la dinamica è questa. Ho votato Sì senza entusiasmo per mettere ordine sul titolo V, il decentramento fatto di corsa nell’inseguire la Lega che ha portato a 20 centri di spesa senza controllo e alla mancanza di competenze specifiche. La riforma Renzi era modesta ma caricata di contenuti quasi apocalittici, si è tirata in ballo addirittura la sopravvivenza della democrazia che sta malino da un bel po’. È la putrefazione delle istituzioni con l’inno della gioventù. Pannella la chiamava democrazia reale, come il socialismo reale».
È appena tornata da Amman, partecipava a un convegno di donne arabe. Poi ha proseguito per rivedere l’immenso campo profughi di Za’atari e dopo incontrare le ragazze yazide sfuggite al Daesh e capire come aiutarle. Gira il mondo ma quando è a Roma vive su un tappeto volante, l’ex abitazione di un portiere all’ultimo piano di un palazzo nel centro barocco rimesso a nuovo con molta passione e non tanti soldi. Le stanze sono meravigliose e piccole, le travi bianche e basse, la terrazza che abbraccia la luce di Roma l’hanno molto aiutata, spiega, a guarire da quello che fin dall’inizio non ha riconosciuto come il suo tumore. «Era una sfida che non volevo identificare».
Ci sono le foto di quando vent’anni fa è stata spedita in Europa da commissaria per la politica dei consumatori, della pesca e per l’Ufficio per l’aiuto umanitario d’urgenza in quella che oggi è forse la Commissione meno apprezzata del mondo. Allora, invece, tutti volevano entrare nell’Unione. «Il problema è che si è fermato un processo politico perché piaccia o non piaccia l’euro, fino alla crisi finanziaria del 2008, è stato per dieci anni un enorme successo. Per questa ragione siamo rimasti a metà del guado e non sono state fatte le riforme necessarie». In un dibattito con Kohl e Mitterrand, ricorda, qualcuno pose la questione: «Cancelliere, non si è mai vista una moneta unica senza un ministero del Tesoro, una banca di ultima istanza, un bilancio adeguato per spostare soldi se una zona è in crisi». Kohl promise, ma non cambiò nulla. «Avevamo una governance da bella stagione ma appena è arrivato il cattivo tempo ci siamo ritrovati senza ombrello. Per ripararci abbiamo tappato solo buchi. Mario Draghi ci ha salvato con il Qe ma più di tanto non può fare». A un certo punto Bonino che è anche impaziente ci ha provato lei, ha preparato con Marco De Andreis il progetto di una federazione leggera, insieme il 5 per cento del prodotto lordo, la difesa, gli esteri, l’immigrazione, un modello d’ispirazione Usa e canadese. Invitata da governi e think tank ha presentato la«brillante tesi» urbi et orbi ma inutilmente. In realtà un super stato non l’ha mai voluto nessuno, Altiero Spinelli nel manifesto di Ventotene indicava poche competenze in comune, quelle che in economia di scala sono più efficaci. Per il resto molta sussidiarietà, “parolaccia” in puro politichese di difficile comprensione».
Quest’anno per suggellare il sogno europeo sono sbarcati di nuovo a Ventotene François Hollande, Matteo Renzi e Angela Merkel, l’unica leader ancora in sella. «Merkel mi piace, ha l’aria tranquilla e determinata, ammiro la sua compostezza in un’epoca in cui bisogna essere belli, arguti, brillanti, magri, giovani. Condivido meno la sua politica dell’austerità e difendo la sua posizione su migranti e rifugiati. Non ha aperto le porte. Semplicemente non le ha chiuse». Ma l’Europa è attraversata da raffiche di populismo, nazionalismo, razzismo, tesi pericolose ma seducenti per molti. «Non credo che nel 2017, anno di elezioni importanti, ci saranno cambiamenti radicali. Anche se, chi arrischia più una previsione? Prima o poi si dovrà capire che è ora di cancellare le troppe direttive, l’eccessiva intrusività e la moltiplicazione di tutto. Non è una federazione, è un’adduzione». E dire che i venti violenti del populismo sono soffiati da una politica al femminile, da Marine Le Pen e da Frauke Petry. «Perché stupirci?» chiede Bonino provocatoria. «Perché sono donne? Ma le donne non sono una categoria. E nemmeno un sindacato».
Prima Brexit, poi Trump, ora il boom del No. Tre carte matte del 2016 hanno stravolto i tradizionali codici d’interpretazione. Tempo fa, per ragioni personali Emma è tornata al Cairo dove nel 2002 aveva vissuto un anno per imparare l’arabo, capire l’Islam e le nascenti radici dell’integralismo. È salita su un taxi e «sono bastate due parole in arabo perché l’autista cominciasse a chiacchierare: “Non c’è zucchero a Zamalek”, mi ha avvertito. Zamalek è un quartiere elegante “e in città non si trova più olio da friggere”. In una limousine privata non avrei ricevuto quest’informazione. Qualche giorno prima ero a un convegno Med con i think tank più importanti. “Signori”, ho detto, “guardiamo troppo a Wall Street e non alla strada, gli analisti di Bruxelles, Londra, New York quando viaggiano parlano solo con l’establishment, con gli stessi interlocutori dei nostri ambasciatori”. Invece bisogna partire dalla mancanza di zucchero a Zamalek per comprendere la rivolta dei popoli ». E cita la Francia: «La conosciamo bene, non è la Patagonia, eppure nessuno aveva scommesso su François Fillon».
Non ha fiutato l’avvento di Fillon ma la fame nel mondo, le migrazioni, i rifugiati sono da decenni battaglie radicali per le quali si è battuta con una testardaggine che a volte importunava, «paesi lontani, pensiamo a casa nostra», alzava le spalle chi non capiva quanto il mondo si stava allargando. Nel 1996 Emma va in Ruanda per appoggiare il diritto dei profughi dopo il genocidio e chiedere all’Europa il sostegno finanziario, poi in Somalia, in Sudan, in Kurdistan, in Afghanistan, in Guinea Bissau, in Sierra Leone: paesi ignorati dai media e dai grandi circuiti del potere politico.
In un’epoca di violenza culturale e politica, Bonino è la non violenza ragionevole, la coscienza europeista di un’Unione sempre più solubile. L’otto novembre papa Bergoglio la riceve in udienza privata. La notizia fa barcollare la Curia: un tempo lei manifestava davanti a San Pietro gridando «No taliban, no Vatican». Bergoglio guarda oltre, guarda in alto, d’altronde è il suo lavoro. In autunno la crisi umanitaria è così grave che il pontefice definisce il Mediterraneo “un cimitero di migranti”, «oltre 4.000 mila quest’anno», precisa Bonino. Per la questione migranti si vedono due volte. «Credo avesse ricevuto una documentazione sulla mia attività in Africa e sul mio impegno umanitario. Ci siamo ritrovati a dire con diversa autorevolezza le stesse cose». Due anni fa, il 21 aprile, lei telefona a Santa Marta. Pannella è in condizioni drammatiche, fa lo sciopero della sete per la situazione carceraria. Nessuno riesce a farlo smettere e lei si tormenta, «chi diavolo può bloccarlo?». Non il diavolo. Ma il papa forse si. «Mi dia il numero». Risponde Bergoglio. Pannella riprende a bere e poi racconta a tutti la telefonata papale. La prima volta che incontra Sua Santità è da ministro degli Esteri in visita formale in Vaticano, lui si avvicina e la saluta con un «cerea». In dialetto piemontese vuol dire buongiorno, è il segno che l’ha individuata con affetto. È l’imprevista svolta di due politici fuori dagli schemi.
Quando arriva alla Farnesina nel 2013 tutti applaudono, è il coronamento in un certo senso. Dura poco e non tutti se ne dispiacciono. «Ci sono state vicende faticose», ricorda il caso di Alma Shalabayeva, («è arrivato il fango ma il vero bersaglio era Angelino Alfano, però in sei mesi sono riuscita a riportarla a casa) e la questione Siria. Era l’epoca di «armiamo gli oppositori moderati», salvo che nel 2013 ormai o erano esuli in Europa o erano stati uccisi. «Ora nel panorama siriano c’è lo scontro Usa e Russia ma in questi ultimi vent’anni Turchia, Arabia Saudita, Abu Dhabi, Qatar sono diventate vere potenze e non sono disposte a accettare passivamente la supremazia dei due. Da parte nostra organizziamo una quantità di convegni sul mondo multipolare, peccato che dal lunedì al venerdì facciamo finta che sia bipolare».
Negli anni al Cairo nonostante l’avanzare del potere dei Fratelli musulmani ha sempre continuato a credere nell’Islam del dialogo. Ma gli attentati si susseguono, l’ultimo proprio al Cairo alla cattedrale copta. «L’Islam non è uno, la Tunisia non è l’Arabia saudita. È la manipolazione politica che porta gli estremismi. Bisogna ragionare su altro: la battaglia nella famiglia sunnita, l’antico scontro con gli sciiti, le nuove potenze regionali, il ruolo della connettività e delle emittenti Al Jazeera del Qatar e Al Arabya che fa capo a Ryad, loro hanno aperto ai popoli arabi un mondo. Tanto che un’amica saudita mi chiedeva “Ho visto che le donne guidano e votano in Marocco dove il re discende da Maometto, come mai?”. E un’altra: “In Turchia c’è un boom economico, perché da noi no?”».
L’Islam non è uno, è vero, ma la Turchia è la spina nel fianco dell’Europa, i tetti della moschea blu sono il simbolo del fallimento del dialogo.« Erdogan va per fatti suoi da tempi non sospetti. Ci siamo consegnati a un signore verso il quale non abbiamo più molte leve. Lui cinicamente non rompe il patto con l’Europa. Ma com’è e come non è, gli potrebbero scappare centinaia di migliaia di profughi e così muri spinati, rotta balcanica chiusa, populismo di vario genere non saranno serviti a niente se non a farci perdere l’anima violando i più elementari principi di umanità infliggendo sofferenze senza fine».
«L’unica strada da percorrere è quella dell’integrazione rigorosa» e cita il racconto del presidente Napolitano di quando nel 1999 al vertice di Tampere i capi di stato chiesero alla Commissione una proposta sull’integrazione. Il ligio commissario portoghese Vitorino li prese in parola, la scrisse e fu respinta a furor di stati membri. Ma ormai il tempo è scaduto e l’accoglienza ragionata è l’unica soluzione:«Si deve capire che i migranti possono essere una risorsa per un’Europa esausta e sempre più sterile demograficamente e che a 300 km di distanza c’è un giardino d’infanzia in esplosione. Un ragazzo su dieci tenta la strada europea. Gli altri affrontano le terre africane con problemi inenarrabili. Certo, è necessaria una legge chiara come quella tedesca. Ma soprattutto ci deve essere una voce autorevole che si opponga alle bugie di Salvini. Una voce che ristabilisca la verità, che gli stranieri sono il 9 per cento della popolazione, che i musulmani sono il 4 per cento del nove per cento. Noi radicali abbiamo scritto un prontuario sulle otto falsità che si raccontano. La mobilità globale appartiene all’umanità, già oggi ci ritroviamo con un esercito di 500 mila irregolari nel nostro paese».
A maggio, è scomparso Pannella, il sostegno, l’amico, forse anche il tormento di tutta una vita. «Sono perdite alle quali è molto difficile abituarsi, quarant’anni insieme hanno bisogno di essere metabolizzati, è troppo doloroso poterne parlare adesso». Il passaggio dalla freddezza del dolore alla dolcezza dei ricordi è un esercizio difficile. Il bellissimo turbante rosso intorno al suo capo ricorda un’altra delle mille battaglie di Emma. E tante donne hanno imitato la sua scelta, d’impatto ancora una volta. «Le parrucche mi danno fastidio. Così un giorno mi sono tornate in mente le ore passate in Mali per combattere le mutilazioni femminili con le amiche africane. Quando si ritrovano curano i capelli, modellano turbanti alti come torri che su di me, invece, creano un effetto fungo. I miei li lego da sola in versione più moderata».
Per una come lei, rivoluzionaria femminista e femminile, la vittoria di Donald Trump contro Hillary Clinton ha il sapore di un tiro mancino della politica contemporanea. Ma Bonino come sempre non è banale «Spero che il voto americano abbia eliminato per sempre un’illusione: l’assoluta falsità che donna voti donna e che la solidarietà femminile sia dovuta. Ognuna di noi ha aspirazioni e processi di vita diversi». Si è divertita, invece, ai commenti sulla legge sulle Unioni civili:«Cambierà la società, dicevano. Ma la società era già cambiata da un pezzo e sotto gli occhi di tutti e ora sono mature la legalizzazione della cannabis e il diritto a una morte dignitosa». Si spaventa invece che gruppi di donne «magari in assoluta buona fede vogliano imporci come vivere. Penso all’appello contro la maternità surrogata e al congedo parentale obbligatorio di 15 giorni nel primo mese. E se magari mi serve nel secondo?». Beatrice Lorenzin è avvisata.
Nell’anno di mezzo del «rottamatore rottamato» («l’unico metro non può essere la gioventù») tra un ordine vecchio che fatica ad andare e un ordine nuovo che non si vede arrivare si è insediato il governo di Paolo Gentiloni «Mi sembra un governo Renzi senza Renzi. Spero non si torni al proporzionale per convenienza o per fretta e soprattutto che passi un anno, come prescrive il consiglio d’Europa, tra riforme elettorali e voto per dare a cittadini e partiti il tempo di organizzarsi».
Emma che non ha mai perso indignazione e compassione non strizza l’occhio ai trionfanti grillini che pure l’hanno ammirata. «Noi radicali abbiamo sempre cercato di incanalare riforme. Fare leva sulle frustrazioni è facile, su aspirazioni e speranze più complicato ma più produttivo». Non usa Twitter e affini «che hanno certo aspetti positivi ma rappresentano uno dei drammi formativi più pericolosi del nostro tempo: la negazione della complessità». Il modello Emma non conosce questa modalità, né politica, né culturale.
- Leggi l’articolo sull’Espresso